lunedì 27 agosto 2007

Arturo Pérez-Reverte - La pelle del tamburo

Un hacker riesce a penetrare nella rete informatica del Vaticano e lascia un messaggio inquietante nel computer del papa (!): una piccola chiesa di Siviglia, Nostra Signora delle Lacrime, abbandonata dal potere ecclesiastico come da quello secolare, uccide per difendersi da chi vorrebbe distruggerla. A indagare viene mandato padre Lorenzo Quart, giovane e affascinante (ma non troppo simpatico) sacerdote nonché agente dei servizi segreti vaticani, un buon soldato tutto disciplina e codice (ma senza vocazione). L’intento dell’intruso (ribattezzato Vespro) non pare distruttivo, anzi vuole solo mettere in allerta il Vaticano circa l’intricato affare in cui è coinvolta la piccola chiesa, già teatro di due morti misteriose e ora in procinto di finire tra le grinfie di un gruppo di avidi agenti immobiliari senza scrupoli. La ricerca conduce Quart fino a don Priamo Ferro, il ruvido e zelante parroco che ha piena devozione del suo piccolo gregge; sorella Gris Marsala, una monaca originaria della California determinata a restaurare la chiesa; Pencho Gavira, il giovane e ambizioso vicepresidente del Banco Cartujano; la sua moglie infedele, Macarena Bruner, una perfetta bellezza Andalusa la cui famiglia aristocratica è strettamente connessa alla storia della chiesa (una sua ava ha vissuto una drammatica storia d’amore con un ufficiale della marina e ha donato la sua collana di perle alla statua della Madonna); la madre di Macarena, l’elegante duchessa del Nuevo Estremo; e Onorato Bonafé, un giornalista da tabloid sempre alla ricerca di scheletri nell’armadio. Padre Quart viene lentamente sedotto dallo splendore di Siviglia e, naturalmente, dalla bellezza di Macarena. Solitamente Pérez-Reverte mi piace molto, ma questo romanzo è stato davvero un brutto colpo: la trama si snoda in una sorta di intrigo senza capo né coda, passando attraverso caratterizzazioni improbabili, dialoghi assurdi e un finale pasticciato, con un tasso di anticlericalismo addirittura fastidioso. Davvero esile la figura del protagonista, padre Quart, il prete senza fede che si comporta come se l’avesse per puro orgoglio e che ha fatto della sua personale idea di coerenza la corazza che gli consente di sopravvivere in un sistema che non ama e non stima. Naturalmente l’intera vicenda lo metterà di fronte a se stesso e contribuirà a renderlo umano: da un lato cederà alla tentazione carnale, ma dall’altro riscoprirà una dimensione sacerdotale, diventando prete per la prima e forse unica volta. Come al solito, la Chiesa è dipinta come una sorta di massoneria fatta da monsignori che parlano come mafiosi o politici, sacerdoti senza fede, parroci da pre-Vaticano II e monache in fuga; scopriamo anche che l’Inquisizione esiste ancora sotto forma di un burocratico ufficio, e che il Vaticano ha intrallazzi a Panama, Sarajevo, Brasile. Questo clero debole e oppresso dall’alto clero sarebbe la “pelle del tamburo” del titolo, sacrificata per far risuonare il messaggio di Dio o della Chiesa. Davvero terribile la concezione del sesso, scoglio supremo su cui si infrangono le aspirazioni di chiunque e su cui sembra destinato a finire il potere della Chiesa (infatti la Chiesa continua a durare da duemila anni…). Più simpatici risultano i cattivi, incarnati in tre pittoreschi scagnozzi talmente perdenti e imbranati da non riuscire a combinarne una giusta (l’ex pugile rimbambito, il falso avvocato laureato a L’Avana, la zitella romantica contante nei locali tradizionali e votata al punto croce). La cosa in cui davvero l’autore eccelle è la descrizione di Siviglia, perennemente avvolta da un’estate torrida e raccontata con un trasporto davvero convincente. Da notare l’autocitazione dell’autore: nella camera di Gris Marsala, si vede il quadro La partita a scacchi di Pieter Van Huys, già alla base del romanzo La tavola fiamminga.

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