venerdì 16 novembre 2007

Alberto Ongaro - La versione spagnola

Massimo Senise, scrittore in crisi di ispirazione (un classico, sembra che gli scrittori non temano altro!), riceve nel suo attico romano un pacco da Madrid. Sono le copie della versione spagnola del suo ultimo romanzo, “La sconfitta”. La traduzione è di grande qualità e rispetta in tutto il testo originale ma, a un certo punto, Massimo trova una certa Marta che “camminava lungo la riva triste e senza peso come un’ombra”. Il punto è che lui quella Marta non l’avrebbe mai dovuta trovare, perché lui non ce l’aveva messa. Incuriosito e perplesso, continua a leggere e scopre altri interventi arbitrari della traduttrice, che messi insieme sembrano formare un messaggio destinato a lui, riferimenti alla sua vita molto puntuali, di cui solo chi lo conoscesse davvero bene potrebbe essere al corrente; ma, soprattutto, un’accusa esplicita: “Marta muore per colpa tua”. Il problema è che Massimo questa colpa non riesce proprio a riconoscerla, ed è costretto a ripercorrere tutta la sua vita, scandagliando ogni relazione, anche la più insignificante, con ogni donna in cui cerca di scorgere Marta. Ecco quindi che egli intraprende un viaggio nei ricordi fra i quali riemerge la  figura di una misteriosa bambina, comparsa una notte a Murano nel giardino di sua zia, che gli aveva chiesto di ributtarle un pupazzo lanciato, con parole strane sulla voglia che lui aveva di morire e sulla certezza invece sua di un futuro da grande donna. Si precipita dunque nel Veneto nei posti della sua infanzia, quindi vola a Madrid e di lì a Toledo, alla ricerca della misteriosa traduttrice, Magdalena Vegas Palacio, che sempre di più appare come l’oscura tessitrice di un complesso artificio per scatenare nello scrittore il senso di colpa. Alla fine il mistero sarà svelato, collegato a un suo racconto giovanile in cui figurava una Marta fallita nella vita dopo molte speranze suscitate in gioventù; ma la vita dello scrittore non sarà più la stessa, come non lo sarà di certo la sua arte. Massimo si accorge infatti di aver sacrificato alla propria arte le vite delle persone che ha conosciuto, e di trovarsi per questo in mezzo a un incubo, capace di parlare con i fantasmi che lui ha creato. E la voce di quella bambina continuerà a visitarlo come un’ossessione, a occhi aperti o di notte nei sogni. Alberto Ongaro, classe 1925, è narratore eccentrico, poco celebrato, lontano dalle mode. Le sue storie sono dense di invenzioni letterarie, la sua capacità di affabulazione ha ben pochi eguali in Italia. Come ne “La Taverna del Doge Loredan”, uno dei suoi romanzi più famosi, Ongaro mescola finzione e realtà, convinto che la realtà non è mai quella che viviamo, ma quella che immaginiamo. Tra suggestioni autobiografiche (dalla nativa Venezia, il protagonista si è trasferito da giovane in Sudamerica, diventando poi romanziere mentre girava per il mondo come giornalista) e personaggi ridotti all’osso ma abbastanza ben delineati, la trama è decisamente ben costruita e mette in scena l’avverarsi di coincidenze dietro cui sembra esistere una regia occulta e misteriosa. Con la consapevolezza che ogni libro, in fondo, è una ricerca e un’avventura che vive dentro di noi. Certo, il rischio è sempre quello di trovarci di fronte a un libro dalle problematiche essenzialmente “colte”. Assolutamente geniale la trovata del principe romano che cerca per tutta la sua vita di eseguire un’impossibile suonata per pianoforte di Mozart apparsa durante  una seduta spiritica.

Recensione pubblicata sul numero di febbraio 2008 della rivista “Pianuraoggi”

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