lunedì 24 dicembre 2007

Charles Dickens - Ballata di Natale

Il periodo mi ha quasi imposto di rituffarmi nella lettura di questo classico di Dickens, forse il più famoso racconto natalizio mai scritto. La storia è arcinota: in una fredda vigilia di Natale, nella Londra del XIX secolo, Ebenezer Scrooge sta lavorando, come sempre, alla scrivania del suo ufficio, nella ditta che dirige da solo dopo la morte del socio Jacob Marley, avvenuta proprio la vigilia di Natale di sette anni prima. Scrooge è un anziano misantropo, avido e taccagno a tal punto da risparmiare anche sul carbone necessario a far funzionare la stufa. Anzi, lui stesso custodisce il secchio del carbone concedendone una misera parte all’impiegato Bob Cratchit, che patisce il freddo nella stanza accanto. Rifiuta l’invito per il pranzo natalizio del nipote Fred e il contributo chiesto da due gentiluomini in favore dei poveri. Dopo aver consumato un frugale e solitario pasto nella solita locanda, rientrando a casa subisce la visita del suo vecchio socio Marley, fantasma costretto a trascinare pesanti catene per l’eternità: anche a Scrooge è riservato lo stesso destino, ma le cose potranno cambiare se egli darà ascolto ai tre fantasmi che durante la notte lo andranno a trovare. Ecco dunque che durante la notte gli appaiono gli spiriti dei Natali (i passati, il presente, i futuri): Scrooge si rivede solitario e chino sui banchi di scuola, abbandonato dagli amici, quindi a casa, affascinato dalle letture dell’infanzia, ricordando gli eroi preferiti, come Alì Babà e Robinson Crusoe. E, ancora, riconosce l’amata sorella Fanny che, una vigilia di Natale, lo va a riprendere a scuola (un momento veramente toccante, soprattutto al ricordo della morte di lei dovuta al parto). Rivede come le sue feste natalizie si siano sempre più limitate per lo spazio sempre più cospicuo dato agli affari, tanto da aver perfino rinunciato perfino alla sua fidanzata. Il fantasma del Natale presente gli mostra la povera casa dell’impiegato Bob Cratchit, dove vede il suo figlio paralitico, il piccolo Tiny Tim, che a causa  della povertà non potrà mai essere curato: Scrooge si commuove e si ribella alla notizia che il piccolo non vivrà a lungo, e rimane sorpreso da Bob che, malgrado sia sempre stato trattato male, alza il bicchiere alla salute del suo principale. Anche il nipote Fred lo difende con i propri commensali e si dice dispiaciuto per la solitudine in cui è sprofondato. Il fantasma dei Natali futuri porta a Scrooge alla Borsa degli affari, dove alcuni uomini parlano di un vecchio taccagno morto all’improvviso (Dickens, profondo conoscitore dell’animo umano, dice che Scrooge aveva sempre sperato di ottenere la stima di questi due uomini); quindi gli fa vedere come tutti i suoi beni verranno rubati e smerciati da un rigattiere, quindi in una camera ardente dove apprende della morte di Tiny Tim, e in un cimitero davanti alla lapide dello stesso Scrooge. Risvegliandosi nel suo letto, il vecchio taccagno si accorge di avere un’altra possibilità, e decide di cambiare vita: elargisce mance, saluta le persone, aumenta lo stipendio a Bob Cratchit, si reca dal nipote e accetta di fare festa. Si potrebbe erroneamente pensare che questo finale in cui l’uomo avaro e scontroso si trasforma nel miglior uomo del mondo sia un po’ forzato e fuori dai tempi, ma la melassa tipica dei film natalizi è decisamente un’altra cosa: anzi, tutto il racconto potrebbe essere letto come l’allegoria di una crisi di coscienza, una versione alternativa della notte dell’Innominato di manzoniana memoria. I momenti toccanti sono parecchi, e le invenzioni narrative lasciano a bocca aperta, a partire dalla folla delle anime degli uomini d’affari dannati, per arrivare alla descrizione fisica dei fantasmi di Natale (il primo fantasma è circondato da una corona di luce e con un copricapo da pompiere che tiene sul fianco, il secondo è un grasso gigante sornione, il terzo si presenta come una figura altissima, avvolta da un nero mantello e un cappuccio da cui nulla traspare se non una mano che sporge da una manica).

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