domenica 30 marzo 2008

Henryk Sienkiewicz - Quo vadis?

Come potevo esimermi dal leggere il capolavoro del polacco Sienkiewicz, dal momento che conosco a memoria il film di Mervyn LeRoy che ne è stato tratto con Robert Taylor, Deborah Kerr e l’indimenticabile Peter Ustinov nei pani di Nerone? È bene precisare fin da subito che l’intero romanzo (colossale nelle dimensioni, un vero kolossal a prescindere dalle sue versioni cinematografiche) è un trionfo del cristianesimo, come solo un autore polacco poteva concepire (il finale con la basilica di San Pietro che domina ancora il mondo grazie al sangue dei martiri). Il titolo stesso deriva dall’apparizione che l’apostolo Pietro ha di Gesù nella sua fuga da Roma durante la persecuzione di Nerone (“Quo vadis Domine?”). Protagonisti della vicenda, il nobile patrizio Marco Vinicio e la schiava cristiana Licia. Il primo si innamora pazzamente della seconda, e dapprima cerca di prenderla con la forza, quindi progetta di rapirla. In seguito però, seguendo la ragazza, Vinicio entra in contatto con la comunità cristiana guidata dall’apostolo Pietro, che si riunisce nelle catacombe, e colpito dalla loro capacità di perdonare i malvagi e di non rispondere al male con il male, finisce per convertirsi a sua volta al cristianesimo. Nel frattempo scoppia il grande incendio di Roma, del quale Nerone incolpa i cristiani ordinandone la persecuzione. Essi sono allora catturati e massacrati nei più vari modi nel circo (contro fiere e gladiatori, crocifissi o bruciati), per il divertimento e il sollazzo del popolo. Licia viene spinta nell’arena legata sul dorso di un toro inferocito, ma viene salvata dal fortissimo schiavo Ursus, che ingaggia una furibonda lotta con l’animale e lo abbatte spezzandogli le corna a mani nude. Il pubblico, entusiasmato dallo spettacolo, chiede e ottiene la grazia per Ursus e per Licia, che con Vinicio lascia Roma e si mette in salvo. Non è da sottovalutare il fatto che Licia è la figlia del re dei Lici, popolazione da cui Sienkiewicz fa discendere i polacchi: Licia è il personaggio positivo, da prendere a modello, pura nel suo candore virginale e nella sua devozione spontanea, capace di trascinare alla fede l’uomo che ama, ma non aliena ai desideri della carne (che lei per prima prova durante il banchetto alla corte di Nerone). Protagonista oscuro dell’intera vicenda, colui che si erge maleficamente sopra tutto e a cui è dedicata la conclusione, lo sciagurato Nerone (e di riflesso il suo braccio destro, lo sciagurato Tigellino, prefetto del pretorio), matricida, uxoricida, pervaso di ogni possibile vizio, cialtronesco nella sua ostentazione delle virtù poetiche e teatrali, quasi ridotto al rango di buffone. Suo contraltare un personaggio enigmatico, Petronio, l’arbiter elegantiarum che la tradizione vuole autore del Satyricon: un filosofo gaudente, dedito al piacere e alla dissimulazione dei vizi, pigro ma integro, che paga di persona la sua indolenza pavida ma in grado però di mantenere tutto il rigore della classe aristocratica romana contro lo sfacelo provocato da un tiranno decadente. Quello che stupisce di questo romanzo è comunque la straordinaria descrizione della Roma dei Cesari, con la sua nomenclatura, la sua toponomastica e i suoi riti, l’atmosfera di cui l’autore riesce a pervadere la sua narrazione, rendendo il tutto vivo e accattivante al tempo stesso. È lampante che Sienkiewicz si sia basato sulla storiografia romana per la costruzione dei personaggi e sul Nuovo Testamento per la predicazione apostolica, ma lo scrittore ha una grande intuizione: che la società romana, eminentemente pagana, fosse basata sul concetto spietato del “mors tua, vita mea”, e che i romani fossero profondamente superstiziosi. Un baratro rispetto all’iconografia da santino che più di qualcuno vorrebbe affibbiare a quel periodo storico…

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