mercoledì 27 agosto 2008

Jeanne Kalogridis - Alla corte dei Borgia

Quando la storia diventa un pretesto. Così si potrebbe riassumere il romanzo della Kalogridis, drammone storico a fosche tinte che rispolvera un tema intrigante e maledetto come la sanguinosa saga dei Borgia ma, prendendo per vere tutte le voci e dicerie sui suoi protagonisti, sfiora ripetutamente il ridicolo e finisce per risultare superficiale e facilone, senza una visione alle spalle (la famigerata Lucrezia Borgia è tratteggiata la contempo come strega e vittima, seduttrice e insicura). Basta l’inizio (la processione per il miracolo del  sangue di San Gennaro) per capire dove siamo capitati. Protagonista di tanto ben di Dio è Sancia d’Aragona, eroina abbastanza canonica e stereotipata, figlia di Alfonso II re di Napoli e nipote di Ferrante I: il primo un pazzo rancoroso e violento che non lesina occasione per punire e umiliare la figlia, il secondo un tipetto che suole tenere una camera con appesi i cadaveri dei suoi nemici. Naturalmente, con questo dna, anche Sancia non può dirsi del tutto normale (nonostante il morboso attaccamento al fratello Alfonso), e dichiara sin dalle prime pagine di essere fatta della stessa “pasta” della sua famiglia. Viene promessa in sposa, adolescente, al nobile Onorato Caetani, che la inizia alle gioie del sesso, quindi viene costretta a sposare Goffredo Borgia, ultimo e smidollato figlio di Rodrigo Borgia, al secolo papa Alessandro VI (in realtà, Goffredo non è figlio suo, ma della sua amante Vannozza Catanei), con lo scopo di migliorare le relazioni tra Napoli e Roma. Sull’intera vicenda grava il monito di una strega che Sancia consulta in quel di Napoli a proposito del suo futuro (“senza usare il male condannerai a morte quelli che ami di più”). Incredibile la scena della prima notte di nozze, con l’atto coniugale fatto oggetto di scommesse da parte di Alfonso (il padre di Sancia) e il legato papale, anch’egli un Borgia, che dimostra ben presto la sua natura perversa violentando un bambino nell’orgia che segue i festeggiamenti. Il papa intanto, nonostante la profusione di sentimenti, tradisce il regno di Napoli consegnandolo ai francesi di Carlo VIII, mentre Alfonso II impazzisce e fugge dalla città portando con sé il tesoro della corona. Durante l’assedio, Sancia uccide con uno stiletto una guardia e prova a sé stessa di essere malvagia perché capisce che uccidere è molto facile. Il padre è sempre più sprofondato nella pazzia e si impicca, Sancia viene chiamata a Roma insieme al marito alla corte papale (il lussurioso Alessandro ha infatti udito che è molto bella e spera di farsela amante). A questo punto scopriamo tutta la depravazione della famiglia Borgia: sua santità fornica pubblicamente con le cortigiane e si ubriaca sena ritegno, sua figlia Lucrezia non esita a offrigli le grazie del suo corpo durante una laida orgia e in seguito si concede a lui anche carnalmente. E non può mancare il mitico Cesare Borgia, il Valentino, amante perfetto e quindi completamente diverso dal debosciato Goffredo: Sancia non prova nemmeno a resistergli, e i dettagli dell’accoppiamento sono descritti minuziosamente in stile softcore. Purtroppo c’è anche un altro fratello, Giovanni, che in seguito a un rifiuto la violenta su due piedi, ed è capace a far impiccare un nobile reo di aver risposto con ironia a una sua provocazione. La povera Sancia scopre che Lucrezia è incita: pensa del padre, ma poi scopre di Cesare (gli incesti non si contano neanche più). Giovanni viene barbaramente pugnalato e gettato nel Tevere (non è un mistero che il colpevole sia Cesare, desideroso di vendicarsi dell’affronto fatto a Sancia ma anche desideroso della sua carica di capitano generale; non pago, Cesare incolpa della gravidanza della sorella un povero domestico, che non esita a sgozzare sul trono papale e a gettare anch’esso nel Tevere (assieme a una domestica di Lucrezia che, ovviamente, sapeva troppo per essere lasciata tranquilla). Lucrezia, che intanto ha perso il bambino, viene fatta sposare con Alfonso, mentre Sancia rifiuta le profferte di matrimonio di Cesare perché scandalizzata di lui, tra l’altro colpito dalla sifilide; questi, sposata una principessa francese e con l’aiuto del padre e l’appoggio del re di Francia, comincia a crearsi un suo potentato autonomo nel Centro Italia ricorrendo alle armi e al veleno, e decide di vendicarsi di Sancia, di Napoli e degli Aragonesi, facendo uccidere Alfonso con la complicità della stessa Lucrezia. A questo punto Sancia, sull’orlo della pazzia, prende la risoluzione di fare giustizia, avvelena il papa e lo stesso Cesare: il primo muore, il secondo sopravvive ma senza la protezione del padre non ha più potere. Un finale tragicomico da melodramma di cartapesta che gronda sangue e perversione, non senza averci regalato l’allucinante descrizione di Machiavelli che scrive istericamente sotto la tavola tutto quello che sente dire da Cesare Borgia, o perle del tipo: “Mentre tenevo la mano sulla sua guancia calda giurai che non avrei mai permesso che proprio suo padre lo facesse becco”.

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