venerdì 27 marzo 2009

Howard Phillip Lovecraft - Il richiamo di Cthulhu

Questo racconto, che verte intorno al risveglio di una misteriosa divinità alinea a forma di polipo prigioniera da eoni nella città sottomarina di R’lyeh (una città dalle geometrie anomale e non euclidee), è forse il racconto più famoso di Lovecraft, o almeno quello che ha dato il nome all’intero ciclo (il ciclo di Cthulhu, appunto), e realizza in pieno la sua poetica dell’Ignoto: in un mondo che ha perduto la cognizione dell’Aldilà, ciò che fa paura sono gli abissi infiniti del tempo e dello spazio, nei quali sono in agguato entità talmente aliene (i cosiddetti Grandi Antichi, preesistenti all’avvento dell’uomo) da indurre la follia con la sola cognizione della loro esistenza. Lo stesso nome del suo terribile personaggio, Cthulhu, fu ideato da Lovecraft come tentativo di rendere un suono assolutamente inumano, come sorta di protesta contro l’assurda abitudine degli scrittori del fantastico e di fantascienza di attribuire a esseri non umani una nomenclatura del tutto umana). Narrato in prima persona sotto forma di diari e di documenti, come è tipico di Lovecraft, il racconto si divide in tre parti. Nella prima, il narratore rinviene tra le proprietà del suo defunto prozio degli appunti ed una antichissima e blasfema statuetta raffigurante una creatura che somiglia al tempo stesso ad una piovra, a un drago e ad un essere umano, in grado di generare visioni di follia nella mente di artisti e poeti. Nella seconda parte, si racconta di una retata della polizia nelle paludi del Missouri per arrestare gli adoratori di un inquietante culto voodoo che prevede cruenti riti sacrificali (simili a quelli di una tribù di eschimesi!). Nella terza ed ultima parte, il narratore rinviene una specie di diario di bordo di un marinaio norvegese, che insieme con l’equipaggio della sua nave è sbarcato su un’isola affiorata dal nulla, R’lyeh, e ha assistito al  risveglio del grande Cthulhu. La minaccia viene scongiurata, ma non per merito degli uomini, anzi, proprio dagli stessi sommovimenti naturali (il terremoto e l’inabissamento di R’lyeh) che l’avevano portata alla luce. Nessun lieto fine (il protagonista chiude con la consapevolezza di essere condannato perché sa troppo sul Culto), una generale sfiducia nella scienza (nonostante il protagonista si definisca un “materialista assoluto”) e una critica a suo modo sociale (è sintomatico che, secondo le rivelazioni di un vecchio adoratore, gli Antichi intendano fare piazza pulita delle leggi e della morale e ridurre la Terra «un olocausto di estasi e libertà»): una grande lezione, a patto che si riesca a portare a termine la lettura, cosa non del tutto scontata considerato lo stile criptico e scientifico di Lovecraft. Soprattutto al giorno d’oggi.

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