giovedì 2 aprile 2009

Ian Caldwell & Dustin Thomason - Il codice dei quattro

Università di Princeton: due studenti (forse alterego gli stessi autori, amiconi per la pelle) lavorano sull’Hypnerotomachia Poliphili, enigmatica opera stampata nel 1499 da Aldo Manuzio e attribuita a Francesco Colonna. Entrambi hanno ottimi motivi: Paul vi ha dedicato la tesi, Tom (che di secondo nome fa Corelli, in omaggio al compositore!) è invece il figlio di uno degli studiosi che ha speso la vita intera sugli enigmi accuratamente celati nell’opera. Dubbi sull’autore (un dissoluto monaco veneziano o un nobile romano?), simbologie ambigue (due donne incatenate, un fanciullo alato che le frusta e le uccide, le fa a pezzi e lascia i loro corpi in pasto a leoni, lupi, uccelli), il mistero dell’uccisione di due messaggeri che, due anni prima della pubblicazione del libro, hanno infranto i sigilli di una lettera misteriosa. Il ritrovamento di un antico diario (scritto da un comandante genovese che spia i movimenti di Colonna) aumenta la curiosità dei due amici e la trasforma in un’ossessione che coinvolge coloro che li circondano. La prima mossa è risolvere il cifrario che permetterà di ottenere la chiave di lettura del reale significato dell’Hypnerotomachia, passando per una serie pazzesca di rebus, acrostici e indovinelli degni di qualche serie tipo Criminal Minds. Morale della favola: l’abile Colonna ha nascosto i propri segreti all’interno di un testo che può essere letto come un racconto e che si nutre di un’infinita serie di altre opere rinascimentali. Purtroppo, quando un loro compagno viene misteriosamente assassinato, i due universitari si rendono conto di non essere i primi a tentare di svelare i segreti dell’Hypnerotomachia. Disprezzato per principio dagli incolti (e ottusi) sostenitori del Codice da Vinci, l’opera di Caldwell e Thomason è in realtà un romanzo molto diverso da quello di Dan Brown (e sicuramente scritto meglio, ma in questo senso ci vuole davvero poco). Come thiller vale poco (il ritmo generale latita, la tensione è stemperata in mille modi, gli enigmi non appassionano mai e suonano eccessivamente verbosi e concettuosi), e certo fa un po’ ridere leggere le intuizioni di giovani che sembrano essersi cibati di classici del pensiero umanistico fin dalla più tenera infanzia, ma ci sono molti altri elementi che sembrano voler ambire a qualcosa di più alto, come la riflessione sul rapporto padre-figlio (Tom con suo padre scomparso, ma anche Paul nei confronti del professore che l’ha preso sotto la sua ala protettiva) e lo spaccato della vita di college e della ricerca universitaria, rituali, rivalità e tradimenti compresi. Ma il romanzo è soprattutto un trattato sull’amicizia: il “codice dei quattro” non è solo la chiave di lettura del libro misterioso, perché si riferisce al rapporto fra i quattro studenti (Paul, Tom e i loro due amici più cari, Charlie e Bill) che sono al centro della vicenda. Per i libri si dà la vita: questa la lezione finale che si apprende dal sacrificio dello stesso Colonna contro l’oscurantismo religioso di Savonarola, e dal deperimento fisico e mentale dei quattro amici (soprattutto Tom, che comincia a trascurare la sua ragazza e ad abbandonare la tesi di laurea sul Frankenstein di Mary Shelley). Peccato che i due autori si sbugiardino da soli, perché all’inizio affermano il contrario quando Tom, andando col pensiero ai giorni successivi all’incidente in cui morì il padre e a cui egli stesso sopravvisse miracolosamente, ricorda l’inutilità dei libri quando attorno al suo letto si affollarono i colleghi del professore scomparso, ognuno con in mano un libro a scopo consolatorio. Da sottolineare, infine, la fissazione degli americani per il sempiterno e fortunato slogan “noi contemporanei siamo nani sulle spalle di giganti”.

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