sabato 21 novembre 2009

Giorgio Scerbanenco - I milanesi ammazzano al sabato

Per la prima volta ho letto un libro di Scerbanenco, cantore di una Milano nerissima, violenta e spietata, per quello che è il quarto dei romanzi del suo personaggio più celebre, il medico-investigatore Duca Lamberti. La storia stessa è deprimente (nel senso che fa piangere dalla tristezza): Amanzio Berzaghi, ex camionista impiegato alla Gondrand, è un vecchio milanese attaccato al suo lavoro ma soprattutto alla sua bambina, Donatella, di eccezionale bellezza ma affetta da elefantiasi (è alta un metro e novantacinque e pesa novantacinque chili). La ragazza ha 28 anni e il cervello di una di 9, gioca con le bambole e soffre di un certo trasporto verso gli uomini (è una specie di ninfomane). Il Berzaghi ne è letteralmente ossessionato ed esce continuamente dal lavoro per controllarla, con metodicità. Un giorno, nonostante la chiusura a doppia mandata, Donatella scompare, rapita da tre balordi diversamente assortiti che la avviano alla prostituzione offrendola a clienti disposti a spendere grosse cifre per soddisfare i propri gusti particolari. Il duro Lamberti, affiancato dal  fedele Mascaranti e dalla giovane compagna Livia, si getta in questa indagine tra case d’appuntamento, magnaccia, atrocità e squallore, che rivela tutto il marcio della “capitale morale d’Italia”: è sulla pista giusta, ma arriva troppo tardi per fare giustizia, quando il vecchio Berzaghi ha già compiuto la sua vendetta (e spiega che i milanesi ammazzano al sabato perché negli altri giorni devono lavorare!). Un noir teso e cupo (incredibile la violentissima scena della vendetta del vecchio nell’appartamento, con annegamento nella vista incluso), dalla lingua essenziale ma dallo stile personalissimo (la psicologia dei personaggi traspare dai dialoghi, scarni ed essenziali ma assolutamente privi di retorica o ideologia), capace di raccontare l’indifferenza, la disillusione e il cinismo di un ambiente che spesso sembra addirittura lunare per il grado di aridità umana che lo contraddistingue. Lo stesso ideatore del rapimento, il gestore del bar dove il vecchio lavoratore si reca tutti i giorni per bere un grappino e condividere con qualcuno le proprie sventure (che nessuno vuole ascoltare), sembra suggerire che non c’è spazio né per il dialogo né per i sentimenti. Tutto questo fa di Scerbanenco uno dei più eccezionali scrittori italiani (ma in realtà era di Kiev) nei quali mi sono imbattuto.

1 commento:

  1. Scerbanenco a Kiev c'era solo nato, di madre italiana era rientrato a Roma all'età di 7 anni e da allora non si è più mosso. E' molto più italiano di qualunque altro scrittore nato in Italia anzi, più milanese che italiano.

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