domenica 21 novembre 2010

Michael Ende - La storia infinita

Ci sono dei libri che ho amato fin dalla più giovane età e che talvolta riprendo, emozionandomi sempre come la prima volta (se non di più), davanti ai quali mi colloco sempre in maniera problematica e che mi pongono seri limiti nel metro di giudizio per l’incondizionato amore che provo nei loro confronti. La Storia Infinita di Michael Ende è uno di questi. Già oggetto di una mia incomprensione con un famoso scrittore italiano per l’infanzia ed editor per E/o e Adelphi (il quale non solo non aveva mai sentito parlare del libro in questione, ma si è permesso anche di rimanere sorpreso sentendo che era stampato in due colori, a suo dire espediente “antieconomico” per una casa editrice), è un libro letteralmente fantastico in ogni suo aspetto (e quindi non solo per il suo genere di appartenenza). L’edizione in mio possesso è quella vecchissima Longanesi, con la sovracoperta verde su di una copertina in raso rosso con l’Auryn impresso sopra, i due colori verde (per il mondo fantastico) e rosso (per il mondo reale) e i capolettera di apertura di ogni capitolo raffiguranti delle architetture a metà tra il classico e l’industriale (anticipazione dello steampunk?). Dal punto di vista dei contenuti, si tratta di uno dei pochi romanzi capaci di far identificare il lettore reale con il lettore protagonista della storia, che è portato a dubitare e a interrogarsi di continuo sul senso di ciò che sta leggendo e, in ultima analisi, a entrare direttamente lui all’interno di un mondo fantastico. Mai come in questo caso, e assolutamente in controtendenza con gli standard odierni, la lettura è un’esperienza che, da evasione e incanto, diventa atto di consapevolezza, maturazione e interpretazione. La storia è arcinota, complice anche il famigerato film degli anni Ottanta con la colonna sonora di Limahl e Giorgio Moroder che fece gridare Ende al tradimento: Bastiano Baldassarre Bucci è un bambino solo e afflitto da mille frustrazioni, vittima prediletta degli scherzi dei compagni, sovrappeso, orfano di madre e con un padre abulico e assente. In una libreria dove finisce per caso viene in contatto con un libro molto particolare, La storia infinita, che stimola il suo intuito fantastico al punto da indurlo a rubarlo e a rifugiarsi nella soffitta della scuola per immergersi in tutta tranquillità nelle sue pagine. Qui conosce il giovane guerriero Atreiu, suo coetaneo, chiamato dall’Infanta Imperatrice, sovrana di Fantàsia, a fronteggiare l’avanzare del Nulla, una sorte di buco nero del mondo fantastico che rende ciechi e mette a repentaglio la vita di tutti suoi abitanti. Atreiu, forte del medaglione Auryn, ha il compito di trovare un salvatore che forse si nasconde da qualche parte nello sconfinato reame; così, in una serie vorticosa di incontri e avventure, egli passa in rassegna tutto il portentoso bestiario di Fantàsia: la tartaruga Morla (vecchia e senza speranza, che parla con se stessa), il mostruoso ragno Ygramul (composto di migliaia di minuscole creature ronzanti), il nano scienziato e taumaturgo Enghivuc con la petulante moglie Ursula, il Drago della Fortuna Fùcur (che diviene suo compagno inseparabile), le Sfingi di pietra, l’orribile lupo Mork (servitore del Nulla), e infine l’oracolo Uyulala, dal quale riceve il responso secondo il quale solo un “figlio dell’uomo” può salvare Fantàsia, dando un nuovo nome all’Imperatrice malata. Atreju, distrutto e sfiduciato, torna a mani vuote dall’Imperatrice, la quale però sorprendente lo consola e gli svela che il suo vagabondare non è stato affatto vano perché ha attratto l’attenzione di un umano che, leggendo quelle pagine, ha solidarizzato con tutta Fantàsia ed è ormai sul punto di entrarci in carne e ossa (Atreju stesso l’ha sentito urlare mentre era sull’orlo di un abisso e ne ha visto l’immagine riflessa nello specchio della seconda prova dell’oracolo di Uyulala). L’Imperatrice si vede così costretta ad andare in cerca del Vecchio della Montagna Vagante, una delle più colossali invenzioni di Ende in quanto colui che registra scrivendo tutto ciò che accade: in questo modo vengono in contatto la facoltà creatrice e riepilogativa della fantasia, la capacità di dare un nuovo inizio a una memoria che in caso contrario è condannata a uno sterile e ineluttabile eterno ritorno. Di fronte all’incubo della ripetizione infinita, Bastiano rompe gli ultimi indugi e si lancia dentro la storia battezzando l’Imperatrice con il nuovo nome di Fiodiluna: quest’ultima gli consegna un granello di sabbia, dal quale ripartire con la sua immaginazione. D’ora in poi Bastiano, da salvatore, diventa creatore di un nuovo mondo secondo i propri desideri (il bosco notturno di Perlun, o il deserto colorato di Goab), anche se poi scopre che i personaggi, una volta ideati, è come se esistessero automaticamente da sempre (il leone Graogramàn, che di notte diventa una gigantesca statua di pietra in quanto legato alla vita e alla morte del deserto multicolore); inoltre, le storie che Bastiano racconta diventano fatti, spesso da portare a termine, spesso invece contenuto di testi contenuti nella biblioteca della città d’argento di Amarganta. Purtroppo, insieme alla creazione, ci sono le conseguenze dell’arbitrio, influendo sul destino di ogni creatura. In agguato c’è dunque l’orgoglio, che porta Bastiano a sospettare di Atreju e a battersi con lui, oltre che a desiderare di diventare imperatore di Fantàsia mettendo a ferro e fuoco la dimora dell’Infanta Imperatrice. Inoltre, a ogni desiderio attuato corrisponde la perdita di una parte di memoria del proprio mondo reale, finché Bastiano non si trova accudito da una misteriosa donna-pianta, Donna Aiuola, che gli insegna la vera saggezza: il “fa’ ciò che vuoi” che sta scritto sull’Auryn non significa “fa’ quel che ti pare”, ma esorta a seguire la volontà più profonda per trovare se stessi, tornare bambini privi di ogni pretesa sul mondo ma disposti ad accettare ciò che viene in dono, passando attraverso la totale perdita di sé e le Acqua della Vita (simbolo del battesimo?). Bastiano deve quindi ricorrere all’aiuto di Yor, il minatore cieco, per scendere nelle miniere di Minroud, dove sono sepolti tutti i sogni dell’umanità che non vengono conservati, codificati in immagini bizzarre e grottesche impresse su lastre. Ne serve una soltanto: Bastiano la trova nell’immagine del padre ma ha bisogno dell’aiuto di Atreiu, il quale, di fronte al Portale della Acque della Vita, prende su di sé il compito di portare a termine tutte le avventure avviate da Bastiano in Fantàsia. Come il lettore si era reso necessario per salvare Fantàsia, questa volta per tornare al mondo reale c’è bisogno dell’intervento di un abitande della stessa Fantàsia: solo così Bastiano può tornare nel mondo reale per verificare la sua capacità di dare e di amare, come persona che sa di avere nel cuore un bagaglio di storie da raccontare e da condividere. Un rapporto positivo e costruttivo tra fantasia realtà, come d’altra parte spiega l’Infanta Imperatrice ad Atreiu: quando le creature di Fantàsia si buttano nel Nulla entrano nel mondo degli uomini come bugie, manie e disperazione, ma se invece è un umano a entrare a Fantàsia allora egli può tornare trasformato e più saggio nel mondo reale. Ende utilizza richiami di ogni genere, dalla storia dell’arte (era figlio di un pittore metafisico-surrealista) alla mitologia, dai poemi cavallereschi ai romanzi d’avventura: i suoi personaggi sono quelli della fantasia più pura e gioiosa, ma allo stesso tempo sono molto concreti e personali, portatori di forti significati morali (la moltitudine in lui è sempre apparenza, superficialità o negatività). Ognuno è naturalmente libero di scoprire altri particolari: le vie che portano a Fantàsia, dopotutto, sono infinite…

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