domenica 10 aprile 2011

Stieg Larsson - La ragazza che giocava con il fuoco

Pur non avendo ancora metabolizzato bene Uomini che odiano le donne e i miei proclami di farla finita con lo svedese Stieg Larsson, ecco che, a stretto giro di posta, ho deciso di avventurarmi nel secondo, fluviale capitolo della sua trilogia MillenniumLa ragazza che giocava con il fuoco. Il libro è, ovviamente, la naturale prosecuzione dell’altro: in seguito all’affare Wennerström, il giornale Millennium è ora il magazine più cool di Svezia, dalla reputazione affermata e circondata da un alone quasi misticheggiante e si appresta a ospitare un’inchiesta sul trafficking (l’industria della prostituzione) e sulla propria clientela ipocrita, realizzata da un giovane collega di Mikael Blomkvist (protagonista del primo libro) e dalla sua ragazza che si sta laureando con una tesi sullo stesso argomento. Ovviamente i due poveracci vengono brutalmente assassinati (lasciando supporre che, paradossalmente, in Svezia, le tesi di laurea vengono lette), con una pistola di proprietà di un’altra persona trovata pure lei morta, l’infame avvocato Bjurman, sul cui calcio vengono trovate le impronte di Lisbeth Salander. Ecco, per chi è vissuto sulla Luna (come me fino a pochi mesi fa) e non avesse idea di cosa si sta parlando, è bene chiarire che Lisbeth Salander è l’altra protagonista del primo libro, l’hacker che odia gli “uomini che odiano le donne”, che ha subito la violenza sessuale di Bjurman, suo tutore. Invece che interrogarsi su questo strano complesso di coincidenze, la polizia (che come sempre non ci fa una grande figura) decide che l’unica responsabile è proprio la misteriosa hacker, che a suo sfavore ha l’essere bisessuale e psichicamente malata (insomma, è la sospettata ideale). Ed ecco la sorpresa: se il primo romanzo era, in parte, la riedizione del tradizionale delitto della camera chiusa, questa secondo capitolo si rivela un thriller concitato e sfaccettato che si sviluppa intorno a una triplice indagine: quella della polizia che si mette sulle tracce di Lisbeth, quella dell’ex datore di lavoro di Lisbet, Dragan Armansky della Milton Security, che vuole raggiungere la ragazza prima della polizia, e quella di Blomkvist che spera di poter aiutare la ragazza (che vive a Stoccolma ma ha fatto perdere le tracce a tutti) seguendola da lontano, temendo quel che lei potrà combinare se provocata. A ciò si aggiunge una quarta caccia, quella della stessa Lisbeth, decisa a smascherare chi le ha fatto attribuire le colpe dei tre assassini e lavora nell’ombra per eliminarla (nientemeno che suo padre, spia sovietica venduta alla Svezia che soleva malmenare la madre di Lisbeth tanto che questa, in giovane età, ha deciso di vendicarsi gettandogli addosso una tanica di benzina per poi bruciarlo). Ancora una volta abbiamo un cattivo mostruoso senza volto che viene identificato mano a mano che la storia procede, ma la dose di azione e violenza aumenta sensibilmente, anche grazie a un gruppo di cattivi piuttosto facinorosi e al personaggio del pugile Paulo Roberto. Non tutto funziona perfettamente (la prima parte con Lisbeth nei Caraibi non si capisce molto nell’economia generale del romanzo) ma la caratterizzazione dei personaggi è straordinariamente complessa per il genere di appartenenza e l’invenzione del personaggio di Lisbeth Salander non è roba da tutti i giorni. Quindi, pregi e difetti dell’autore sono gli stessi: un modo di scrivere asettico per non dire chirurgico, privo di qualsivoglia emozione a dispetto delle immagini forti evocate (capisco che qualcuno, come Carlo Fruttero, abbia pensato sia stato scritto direttamente dal computer), permeato da un tono grigio e plumbeo per non dire “nordico” che risulta estremamente caratteristico e incisivo (anche sull’umore del lettore). Sullo sfondo, ancora una volta, un paese da incubo dove gli uomini sono quasi tutti degli stupratori perversi, i figli crescono tra le violenze, i giudici tradiscono senza problemi la giustizia e i servizi segreti sono pronti ad accettare i peggiori compromessi, in netto contrasto con l’idea diffusa piuttosto diffusa che vuole la placida Svezia paradiso della socialdemocrazia. Certo, fa sorridere leggere le peripezie di questi giornalisti idealisti (chiaramente la posizione dello stesso Larsson) convinti che il loro lavoro è destinato a cambiare il mondo. Curiosa, infine, è l’ossessione della matematica di Lisbeth che permea tutto il libro, tanto che formule di varia natura prendono il posto all’inizio dei capitoli del libro al posto dei dati statistici sulle violenza contro le donne in Svezia che invece caratterizzavano il primo romanzo.

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