lunedì 2 aprile 2012

Terry Pratchett - Il colore della magia

Signori, benvenuti al fantasy demenziale. Demenziale non nel senso più deleterio (da film sbracato, per intenderci), ma nella sua accezione più profonda ed esistenziale, capace di giocare con gli aspetti più comici e improbabili della realtà e di trasfigurarli, rendendoli però un’alternativa credibile e perfettamente verosimile. Tutto questo è contenuto in questo primo romanzo prodotto dalla mente geniale di Terry Pratchett (mente che, paradossalmente, rischia di tradire il suo autore trovandosi egli a fare i conti con il morbo di Alzheimer), creatore della mirabile invenzione del Mondo Disco, un altrove fantastico che si estende su una superficie tonda e piatta (come nel Medioevo si immaginava la Terra) trasportata da quattro mastodontici elefanti che, a loro volta, stanno in equilibrio sull’enorme tartaruga A’Tuin («l’enorme carapace antico bucherellato da crateri e meteore» e con gli occhi «incrostati dai reumi e dalla polvere di asteroidi»). Il protagonista della vicenda è il cinico mago incompetente Scuotivento (che conosce, suo malgrado, il più terribile incantesimo dell’universo, che si è insinuato di nascosto nel suo cervello leggendo un libro proibito e ora gli impedisce di ricordare tutti gli altri), involontaria guida dell’ingenuo turista Duefiori, un impiegato delle assicurazioni che, dall’altro capo del mondo, si è messo in testa di visitare la città di Ankh-Morpok e gira con un forziere ambulante dotato di centinaia di minuscoli piedi ed è pieno di monete d’oro (dalle sue parti un misero gruzzolo ma qui, invece, un invitante tesoro che fa gola a molti tagliaborse). Fuggiti a causa di un incendio, i due viaggiano per il Disco, sfuggono dal tempio del demone lovecraftiano Bel-Shamharoth e, attraverso la montagna rovesciata di Wyrmberg, dimora dei draghi dell’immaginazione (pare che tutta questa sezione sia una parodia della saga dei Dragonieri di Pern di Anne McCaffrey, ma purtroppo non l’ho mai letta e non ho potuto apprezzarne i rimandi), giungono nel paese di Krull dove vengono scelti dal Fato come vittime sacrificali per il buon esito del viaggio di una navicella lanciata oltre il Bordo del Disco per scoprire il sesso della tartaruga A’Tuin. Pratchett si diverte a scardinare gli stereotipi del fantasy (si prenda per esempio la figura di Hrun il Barbaro, una caricatura di Conan ma allo stesso tempo in possesso di una spada nera senziente come Elric di Melnibonè, anche se in questo caso questa si mette a parlare ad alta voce mentre il suo portatore cerca di arrivare di soppiatto) e non manca di chiamare in causa un tema classico come quello degli dei che, a seconda dei loro capricci, influenzano le vicende umane, ma lo connette con il gioco di ruolo in cui sono impegnati gli stessi dei (di solito invece occupati «a recarsi alle case degli atei a fracassarne le finestre»), tanto che Scuotivento e Duefiori spesso sentono uno strano rumore di dadi di cui non comprendono la provenienza. Lo stesso Scuotivento ha molti incontri con la Morte, tratteggiata come il mietitore della tradizione, incappucciata e munita di falce, e dotata di un umorismo tanto lugubre quanto lapidario. L’autore è però anche inventore di adorabili cialtronerie come i maghi idrofobi e l’oroogu nero, la lingua senza sostantivi e un solo aggettivo, oppure il volo della polizza assicurativa della taverna che ha stipulato Duefiori e il suo atterraggio presso una tribù di isolani («gente semplice e ridanciana») che si mette ad adorarla come un dio, «con grande sollazzo dei loro vicini più sofisticati», dando origine a una stagione di raccolti stagioni e richiamando un gruppo dall’Università dei Maghi per studiare il fenomeno. È addirittura straordinario quando, nella prima parte, descrive lo scontro nella taverna tra i capi della gilda dei ladri e quella degli assassini per decidere cosa fare di Duefiori e del suo tesoro, con l’improvviso arrivo del capo della neonata gilda del turismo che, rappresentante gli interessi dei commercianti, cerca di spiegare ai contendenti i vantaggi rappresentati da un turista come Duefiori. Queste caratteristiche si integrano alla perfezione con uno stile di scrittura assolutamente folle e incostante, che interrompe continuamente il filo narrativo con storie o digressioni di varia natura (e tutte genericamente demenziali e caratterizzate da battute nere e ghignanti) e gioca con il testo come quando, nell’impossibilità per i protagonisti di pronunciare la parola “otto” (numero strettamente connesso alla magia, tanto che l’Ottarino, ottavo colore del Mondo Disco, è il colore della magia), usa formule come “quattro volte due” e “due volte i lati di un quadrato”. Uno scrittore imperdibile, di cui bisognerebbe recuperare l’intera bibliografia.

Nessun commento:

Posta un commento