venerdì 7 dicembre 2012

Caitlín R. Kiernan (con Neil Gaiman e Roger Avary) - La leggenda di Beowulf

Chi non ricorda il film La leggenda di Beowulf, cartoon digitale uscito qualche anno fa grazie al talento di Robert Zemeckis che rivisitava il più antico poema epico in lingua inglese (scritto da anonimo nel VII secolo in 3.182 versi) utilizzando la tecnica della performance capture, con gli attori che recitano con sensori applicati a visi e corpi per essere trasformati dal computer in personaggi virtuali e privi di difetti? Pochissimi, a mio avviso. Zemeckis si era confermato, una volta di più uno sperimentatore piuttosto ardito nel mettere a frutto i prodigi del cinema contemporaneo, ma ahimè privo di qualsivoglia spessore per trattare tematiche minimamente complesse, finendo per diventare il cantore del gusto medio della cultura odierna, che deve piacere a tutti. A inficiare il prodotto ci avevano pensato inoltre alcune scelte sciagurate come quella in cui venivano utilizzato i più ingegnosi accorgimenti per nascondere il batacchio di Beowulf (cosa che rimandava ai titoli di testa di un film di Austin Powers), o quella particolarmente kitsch che vedeva Angelina Jolie nella parte della madre del mostro trasformata in una creatura dorata i cui talloni finivano in tacchi a spillo. Ed era un peccato, perché nella sceneggiatura di quei geniacci di Neil Gaiman e Roger Avary c’era molto di buono. Innanzitutto, perché il loro tentativo di modernizzazione del poema epico riguardava non solo il linguaggio (adattato alle esigenze del pubblico di oggi, frasi gergali e spacconesche da cameratismo guerresco comprese) ma anche la struttura stessa della storia. Il poema originario ha sempre presentato infatti difficoltà di interpretazione e di adattamento per il cinema, tanto che gli altri due film sull’argomento (uno vergognoso con Christopher Lambert, l’altro più dignitoso con Gerard Butler) hanno preso in esame solo la prima parte della storia, quella con Grendel e sua madre per intenderci (nel film con Lambert era interpretata da una modella di Playboy, non dico altro): difficile infatti unire i due stadi della carriera dell’eroe, la sua ascesa e la sua caduta finale, e risolvere il contrasto tra la gloriosa giovinezza dell’eroe e il suo inevitabile declino e la morte in tarda età. Gaiman e Avary, invece, hanno deciso di riunire le due parti, riportando tutti i mostri al loro posto: non solo Grendel, quindi, ma anche il drago finale. Senza discostarsi troppo dalla storia originale, ambientano la vicenda nella Danimarca del 45 dopo Cristo, nel palazzo di Heorot, reggia di re Hrothgar, preso d’assalto da una gigantesca creatura mostruosa di nome Grendel che, durante la notte, fa strage di umani. Solo il valoroso Beowulf ha il coraggio di affrontarlo e lo annienta. Ma ecco la novità inserita dai due sceneggiatori: la strega madre del mostro irretisce l’eroe con un patto faustiano e genera con lui un nuovo essere che, trent’anni dopo, sotto forma di drago, torna a terrorizzare il palazzo di Heorot, e il vecchio e stanco Beowulf deve di nuovo rimettersi l’armatura, questa volta conscio di incontrare il suo destino. Nell’introduzione di questo volume, Gaiman spiega che quando a lui e ad Avary fu chiesto se ritenevano possibile trarre un romanzo dalla sceneggiatura che avevano scritto (un po’ quanto successo con Nessun dove), entrambi risposero di no e che era meglio consigliare alla gente di leggere il poema originale. Il romanzo è quindi stato scritto (con i verbi tutti al presente) da Caitlín R. Kiernan, scrittrice e paleontologa irlandese trapiantata negli Stati Uniti, ma gli elementi della sceneggiatura ci sono tutti: la tentazione di chi detiene il potere deve combattere, la concezione cristiana del peccato come portatore di conseguenze (Grendel è il figlio di Hrothgar e il drago è figlio di Beowulf, ed entrambi tornano a funestare la vita dei propri genitori che si sono concessi a un demone), la menzogna che viene preferita alla verità (Beowulf resta un eroe, per bardi e sudditi), il conflitto tra mondo pagano e nuovo culto cristiano, con tutto ciò che l’immagine dello scontro finale implica (il figlio Mordred che si ribella a suo padre Artù, San Giorgio che uccide il Drago, l’arcangelo Michele che sconfigge il Diavolo). Anzi, la Kiernan aumenta ancora di più la connotazione vichinga della vicenda riempiendola di particolari di mitologia norrena, dall’albero cosmico Yggdrasil alle profezie sul Ragnarök, tanto che i numerosissimi termini utilizzati necessitano di un glossario esplicativo finale. Restano intatti i dubbi su quale fosse il pubblico di destinazione di un film del genere, che per la grandezza dei presupposti e la pochezza degli esiti rappresenta una grandissima occasione sprecata.

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