lunedì 29 aprile 2013

Daniel Falconer - Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato. Cronache dal set

L’uscita di un kolossal del calibro de Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato, film di Peter Jackson atteso dai fan di Tolkien e della Terra di Mezzo per quasi dieci anni dopo la realizzazione dell’ultimo capitolo della saga del Signore degli Anelli, è coincisa con la pubblicazione di tutta una serie di opere a esso connesse volte a spiegarne e a celebrarne la realizzazione. Dopo la meritevole guida ufficiale al film di Brian Sibley, ecco giungere tra le mie mani questo fantastico volume di formato orizzontale, realizzato da Daniel Falconer, Senior Concept Designer della Weta Workshop, che va al di là del semplice “dietro le quinte” e contiene oltre mille immagini tra bozzetti, fotografie e illustrazioni eseguite dagli artisti che hanno lavorato alacremente per ridare vita alla Terra di Mezzo, non solo per quanto riguarda le scenografie e gli ambienti, ma anche e soprattutto per la caratterizzazione dei personaggi, con prove di acconciature, trucchi e abiti, con commenti e aneddoti sulla lavorazione. In apertura e in chiusura troviamo due bellissime sorprese, la mappa di Thorin in grandi dimensioni con tanto di rune naniche in inchiostro che brilla al buio e una copia ripiegata, anch’essa in grande formato, del contratto sottoscritto da Bilbo con i nani. Da ogni particolare traspare la cura maniacale per i dettagli che è stata riversata nel progetto, la stessa attenzione che, già durante la preparazione delle riprese della trilogia del Signore degli Anelli, fece sì che i lavori sul sito di Hobbiton (Hobbiville in italiano) iniziassero un anno prima, per permettere che i cambiamenti apportati al terreno si assestassero e le piante potessero mettere radici, dando così un aspetto appropriato e autenticamente “vissuto” alla cittadina hobbit. Per la scena con Frodo e Bilbo anziano che si vede a inizio film, per esempio, Jackson voleva che gli spettatori vedessero qualche oggetto e lo riconoscessero come un ricordo che lo hobbit aveva portato con sé dai suoi viaggi, e perciò Alan Lee (Concept Art Director del film, insieme all’altro grande illustratore tolkieniano, John Howe) ha disegnato un oggetto che poteva essere un dente, un artiglio o uno sperone, che faceva pensare a qualcosa di proveniente da un drago. Non solo: tutti i nani hanno i loro bicchieri, piatti e posate personali, alcuni disegnati in modo da dare l’impressione di oggetti trovati lungo qualche viaggio, con una loro età e una loro storia, a volte tenuti insieme provvisoriamente con un cordino, a suggerire il carattere errante della compagnia. Per non parlare delle armi: tutti coloro che hanno visto Il Signore degli Anelli si aspettavano che i nani portassero solo asce, ma nello Hobbit si è deciso di allargare il campo a tanti tipi di armi adatte ai diversi tipi di personaggi, tutte rigorosamente diverse e personalizzate, di forma, foggia e peso diversi, con scritte in lingue tolkieniane per conferire spessore e storicità alla vicenda, esattamente come accaduto per la vecchia trilogia. Anche qui, come nel libro di Sibley, si spiega la volontà di Jackson e dei suoi collaboratori (consapevoli del fatto che portare tredici nani anonimi tutti insieme sullo schermo non si sarebbe rivelata un’idea vincente) di dare una caratterizzazione definita a ciascuno dei tredici nani per renderli immediatamente riconoscibili anche dagli spettatori che non conoscono il romanzo originario, cosa non facile se si considera che, nel libro, gran parte dei nani è definita in modo vago e nominata solo sporadicamente, mentre il pubblico cinematografico conosce già l’aspetto dei nani dopo aver visto Gimli nel Signore degli Anelli, unico nano in una compagnia di molte razze e quindi fortemente caratterizzato (anche in senso macchiettistico e ironico, essendo l’unico compagno a prestarsi a incarnare il ruolo di spalla comica per sdrammatizzare molte situazioni). Forse non tutti lo giudicheranno un esperimento riuscito, ma basti pensare che per ognuno dei nani è stato costruito un background e uno stile ben preciso (basti pensare alla geniale barba di Bombur, a forma di cerchio ininterrotto, che riprende la silhouette sferica del personaggio): un esempio per tutti, per i fratelli Dori, Nori e Ori è stata inventata una storia in cui Nori ha lasciato la sua città per evitare guai e Ori, il cocco di mamma, lo ha seguito (e questo si concretizza visivamente nel suo taglio di capelli a scodella fatta ai figli dai genitori e nella barba a ciuffetti, tipica dei giovani); Dori, il più vecchio dei tre, è quello che si preoccupa per tutti e in realtà si è unito al gruppo soltanto per proteggere il fratello più piccolo, del quale si prende cura come una madre (e questo si rispecchia nel suo costume, il cui viola è un colore un po’ da vecchia signora, e nell’acconciatura estremamente complicata della sua barba, in accordo con la sua personalità estremamente pignola). Personalmente ho trovato fantastica la caratterizzazione di Thror, Re sotto la Montagna, reso come un sovrano monolitico e personificazione della montagna stessa, con motivi triangolari sulla barba e sulle vesti basate sull’inclinazione della montagna. È lampante lo sforzo fatto per mostrare cosa erano un tempo i nani della Terra di Mezzo e far capire perché Thorin sia così ansioso di riavere quello che gli spetti di diritto, e non si può non dare ragione a John Howe quando afferma che, come capitato con gli elfo del Signore degli Anelli che hanno contribuito a cambiare in modo decisivo il nostro immaginario collettivo al riguardo (nel senso che quando oggi noi pensiamo agli elfi pensiamo a quella cosa lì del Signore degli Anelli, non certo alle fiabe dell’epoca vittoriana), con la trilogia dello Hobbit Peter Jackson sta facendo la stessa cosa con i nani, costruendo per loro una cultura e una storia complete, oltre a una presenza che non hanno mai avuto in precedenza: «Il vagabondaggio a cui è costretto Thorin, i suoi ricordi della gloria passata, le ballate commoventi e nostalgiche ne fanno un popolo a sé, completo in ogni suo aspetto. Non è certo il gradevole mondo di Biancaneve ed è assai più antico dei Nibelunghi. I nani non saranno mai più quelli di una volta». Un lavoro pazzesco a mio avviso è stato fatto anche nella laida caratterizzazione del Grande Orco, al quale si è voluto aggiungere un leggero tocco di carisma e di magnetismo animale, «qualcosa che sta tra il proprietario-schiavista di una fiaba dickensiana e una rockstar alcolizzata in declino». Il libro ripercorre inoltre tutti i luoghi di questo primo film, illustrando le aggiunte apportate a casa Baggins (la sala da pranzo, la dispensa, la camera da letto, il mobilio), la casa di Radagast e Rhosgobel (un luogo stravagante e personale come del resto il suo abitatore, dichiaratamente simile a quella di Merlino nella Spada nella Roccia della Disney), i nuovi ambienti di Gran Burrone, le scale sull’abisso della città degli orchi e la Carrock, l’alta roccia sporgente che spunta dal terreno e sorge al confine delle terre di Beorn sulla quale giungono i nostri eroi trasportati dalle aquile alla fine del film e che, da un certo angolo, è modellata come il profilo di un orso (ricordiamo che è stata creata da Beorn, che è un uomo-orso). Scopriamo infine che è stata girata (e quindi verrà inclusa nell’Extended Edition del film in DVD) una scena il giorno del mercato all’esterno della Locanda del Drago Verde con spettacoli, bancarelle e hobbit che fanno picnic, oltre a quella del primo incontro di Gandalf e Bilbo con sua madre Belladonna e i Vecchi Hob, Gammidge e Tuc in occasione della festa di quest’ultimo mentre stanno chiacchierando davanti a un bicchiere di birra sotto una tenda all’aperto, con tanto di spettacolo di burattini e fuochi d’artificio: Gandalf fa un piccolo trucco magico e tira fuori dalla manica un drago, con tutti gli altri bambini che scappano via spaventati mentre Bilbo è l’unico a rimanere incuriosito dal drago, dando così allo stregone l’impressione di essere un piccolo hobbit particolarmente coraggioso. Immagino che queste scene non faranno per nulla piacere a quanti hanno già trovato l’inizio del film troppo lento, lungo e dispersivo a causa degli eccessivi flashback e prologhi, ma allo stesso modo non vedo come le stesse persone potrebbero essere interessate a comprare l’Extended Edition, che è piuttosto qualcosa per fan irriducibili e fanatici (come me). Inoltre, scopriamo che ci sarà uno scambio di battute tra Gloin e Legolas in cui l’elfo chiede qualcosa tipo “Chi è questo orrore?” guardando un suo medaglione e Gloin gli risponde si tratta di sua moglie (le donne nane hanno la barba, come ci si ricorderà da quanto detto nelle Due Torri da Gilmi, che di Gloin è per l’appunto figlio), mentre non ho capito se sarà compresa nell’Extended Edition o bisognerà aspettare l’uscita del secondo capitolo la scena della discesa di Gandalf e Radagast nelle cripte delle High Falls, dove si trovano le tombe entro cui gli uomini del passato hanno sigillato i resti dei morti servitori di Sauron, i Nazgul, dove nessuno avrebbe mai dovuto mettere piede. Insomma, a prescindere del giudizio di ognuno sul film, questo è il classico libro che non fa altro che confermare quanto lavoro ci sia alle spalle nella realizzazione di un film (e che film!) e quanto affascinante sia il lavoro dei creativi.

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