sabato 4 gennaio 2014

Brian Sibley - Lo Hobbit - La desolazione di Smaug. La guida ufficiale al film

Non si può negare che il secondo capitolo della trilogia de Lo Hobbit di Peter Jackson abbia fatto discutere e dividere gli spettatori. C’è chi lo ha trovato noioso, chi invece eccessivamente tonitruante per aver insistito sulle sequenze spettacolari da videogioco, chi l’ha accusato di ogni possibile efferatezza per aver modificato la storia originale e tradito lo spirito di Tolkien (soprattutto per la presenza dell’elfa Tauriel, personaggio più simile alla Uma Thurman del tarantiniano Kill Bill che a un personaggio tolkieniano, ma anche per la platonica storia d’amore tra questa e il nano Kili e il confronto tra i nani e il drago Smaug nel ventre della montagna), chi ha lamentato la mancanza di questa o quella scena a cui è affezionato (una per tutte, la presentazione dei nani a Beorn), una rappresentazione del drago Smaug diversa dalla tipologia di drago che aveva in mente Tolkien (ma qui ci addentriamo in territori pericolosamente nerd) e, soprattutto, il cliffhanger conclusivo, terribile e oltraggiosa prova di come le leggi della serialità televisiva americana abbiano ormai irrimediabilmente contagiato anche il cinema. C’è addirittura chi, come l’autorevole critico Paolo Mereghetti, ha addirittura esteso il suo furore distruttivo contro l’originale tolkieniano, definendolo (nell’ultima edizione del suo Dizionario dei film, sotto la voce Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato) «un romanzetto sia per lunghezza sia per rilevanza letteraria», ulteriore prova che Tolkien non piace alla critica nonostante il “romanzetto” in questione sia un classico dal 1937 e siamo ancora qui tutti a parlarne. C’è però anche chi il film l’ha apprezzato come il sottoscritto, che al cinema (e in 3D) l’ha visto ben quattro volte e che, come chi si arroga il diritto di criticarlo, intende difenderlo, ricordando come Peter Jackson ha realizzato non tanto un adattamento fedele alla lettera, quanto un prequel della sua altra trilogia, quella del Signore degli Anelli, capace di inserirsi, con passione e coerenza, in quella mitologia e in quella poetica. Proprio a questo capitolo del film è dedicata questa guida ufficiale scritta da Brian Sibley, piena di fotografie e capace di rendergli un buon servizio illustrando l’enorme livello di dettaglio con cui sono stati gestiti l’adattamento e la messa in scena: ogni singolo elemento (dentro e anche fuori dall’inquadratura) è stato curato nel minimo particolare, inclusi i dettagli e le scritte nelle varie lingue della Terra di Mezzo, per non parlare del lavoro artistico curato dagli illustratori John Howe e Alan Lee, di quello sugli accenti (basti pensare che i nani sono stati divisi in gruppi linguistici familiari per rafforzare la loro parentela) e di quello sui costumi (per quelli degli abitanti della Città del Lago è stato pensato un retroscena culturale a cui nel film non viene fatto riferimento esplicito con un culto evolutosi nel concetto di due gruppi religiosi diversi: il gruppo blu che venera il lago e il gruppo rosso che venera la Montagna). A chi ha criticato la presenza di set digitali al posto dei modelli in miniatura scolpiti della trilogia del Signore degli Anelli, la guida spiega che con Lo Hobbit le esigenze del 3D e dei 48 fotogrammi al secondo avrebbero richiesto, per ottenere i dettagli necessari, modelli enormi, che in quanto tali avrebbero a loro volta necessitato di sound stage giganteschi in cui riprenderli; a livello di sceneggiatura, invece, viene ricordato quanto importante fosse (soprattutto nel primo film) fornire a ognuno dei tredici membri della compagnia dei nani delle caratteristiche individuali per permettere agli attori di immedesimarsi nel loro ruolo e al pubblico di conoscerli via via nel corso del viaggio, lasciando emergere tensioni e diverbi ma anche un legame reciproco impossibile da spezzare. È però interessante notare come Peter Jackson abbia colto la rivoluzione rappresentata dal personaggio dello hobbit Bilbo Baggins, forzato a uscire di casa e mandato allo sbaraglio in un mondo di eroi e guerrieri, un uomo ordinario (ma per molti versi straordinario) rappresentante di quel “noi” che sono i lettori dei libri di Tolkien e gli spettatori dei film ambientati nella Terra di Mezzo, perché reagisce come reagiremmo nella stessa situazione, se avessimo a che fare con troll, ragni giganti e lupi mannari. Il libro analizza quindi tutti gli aspetti della preparazione del film, dalle acconciature al cibo da preparare, dal trucco agli effetti sonori (si scopre che le grida di Smaug sono il risultato dei versi di un maiale affamato, degli alligatori della Florida e della figlia del sound designer David Farmer!), e si presenta poi come un viaggio attraverso luoghi e personaggi che vediamo in questo secondo capitolo: la casa di Beorn, descritta da John Howe come una «costruzione maori realizzata dai vichinghi nel Pacific Northwest del Canada: un armonioso mix di diverse culture ottenuto con tecniche di costruzione primitive» (Alan Lee spiega che era difficile far servire a tavola lui e i suoi ospiti da camerieri animali, ma che hanno voluto che sul set fosse presente l’aspetto di fiero protettore degli animali e difensore del mondo naturale attraverso la presenza di sculture e grandi colonne totemiche, oltre a un set di scacchi intagliato a mano dalle fattezze animali); la fortezza di Dol Guldur, concepita da John Howe come costruita a partire da enormi blocchi di pietra tenuti insieme da sostegni e punte di ferro vecchio e arrugginito, con molte pendenze, linee diagonali e angoli acuti per risultare oppressivi e inquietanti, ma allo stesso tempo coperto di vegetazione da sembrare nascosta e stagliarsi di netto all’orizzonte come un rudere in cui ci si imbatte quasi per sbaglio, e con un interno pensato da Alan Lee come un labirinto di gabbie, prigioni e strumenti di tortura; Bosco Atro, un labirinto di piante e ragnatele dal set psichedelico e dai colori accesi, dovuti al fatto che le luci utilizzate, abbinate all’effetto del 3D, li avrebbe sbiaditi non poco; la Città del Lago, concepita come una Venezia celtica invernale e decadente e costruita in un enorme set all’interno di un bacino pieno d’acqua per mostrare come la città stia lentamente affondando nel lago (Peter Jackson spiega di aver voluto dare un peso maggiore alla città, sia al luogo sia ai personaggi, rispetto al libro di Tolkien, in modo che, quando Smaug attaccherà, questi siano maggiormente radicati nella storia); gli elfi di Bosco Atro, che sono più intolleranti e meno leggiadri di quelli incontrati nel Signore degli Anelli, vivendo in una foresta usurpata da un male esterno e avendo per questa ragione chiuso le porte e rinunciato a quanto c’è fuori; il loro re Thranduil, che preferisce difendere il suo regno e stare in disparte lasciando che il mondo faccia il suo corso, e il cui desiderio di impossessarsi di ciò che spetta alla sua razza supera il desiderio del bene; Bard, leader di natura che è costretto a essere un eroe che, se chiamato dal destino, può ancora compiere un’impresa che origina da un passato lontano; il laido e avido Governatore della Città del Lago, politicante di professione e pronto a tutto pur di tenere il potere, e il suo tirapiedi Alfrid, la cui presenza è stata pensata perché il Governatore interagisse con un altro personaggio piuttosto che rimuginasse da solo in una camera. Purtroppo, non viene mostrata alcuna immagine del drago Smaug, e questo probabilmente per tenere alta la tensione e non rovinare la sorpresa prima della visione del film (ricordiamo che la guida è uscita qualche settimana prima della data di lancio de Lo Hobbit – La desolazione di Smaug); non si può però non provare ammirazione e rispetto per l’attore Benedict Cumberbatch che a Smaug ha dato la voce e si è candidato direttamente presso il regista perché quando era piccolo suo padre gli leggeva il racconto di Tolkien («È stato il primo libro a entrarmi in testa come mondo immaginario, e ha svolto un ruolo di rilievo nel quadro della mia vita. E questo non perché lo avessi letto ma perché mi è stato tramandato oralmente, portato in vita da mio padre»). Per i più fanatici, si possono desumere delle scene tagliate che, con ogni probabilità, finiranno nell’edizione estesa del film: Bard che spacca la legna, la figlia di Beorn che serve in tavola i nani e Bilbo che dice a Beorn sulla strada della Città del Lago che il suo primo errore è stato lasciare Casa Baggins e che nella Contea c’è il detto «Mai avventurarsi a est!».

1 commento:

  1. Gentile Paolo
    Leggo con molto interesse il tuo blog, e sono anche io un appassionato di Tolkien. Ho visto i film, a me sono piaciuti moltissimo, ed ho anche visto la versione in DVD con il racconto di come i film sono stati girati, veramente interessante! Grazie Giorgio

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