domenica 6 aprile 2014

Frank Miller, Lynn Varley - 300

Potrò risultare estremamente impopolare, ma a me il film 300 di Zack Snyder non è mai piaciuto, né a livello stilistico né a livello contenutistico (sorvoliamo su particolari kitsch come gli addominali rifilati al computer), e trovo abbastanza avvilente che abbia segnato l’immaginario cinematografico e collettivo. Sono sempre stato attirato però dall'acclamata e pluripremiata graphic novel di Frank Miller (testi e disegni) e Lynn Varley (colori), da cui il film in questione è stato tratto con la volontà di dare vita alle sue pagine con impressionante esattezza. Dopo averla letta, le mie sensazioni sono contrastanti. Se, da un lato, riconosco che si tratta di un capolavoro visivo dal grande dinamismo e dall’incredibile forza evocativa, che riprende l’antinaturalismo di Sin City (sempre di Miller) e lo porta ad ancor più estreme conseguenze (con sangue e violenza a farla da protagonisti, grazie alle tonalità di colore nero, ocra, seppia e rosso, come i mantelli degli spartani), dall’altro devo comunque ammettere che, dal punto di vista storico-culturale, è un’opera ampiamente discutibile. Certo, è un fumetto, e si tratta di fiction, per carità, ma non per questo bisogna far passare aprioristicamente tutto per buono, soprattutto perché, in fin dei conti, stiamo parlando di un’opera che si piccherebbe pure di passare per storica o che, per meglio dire, interpreta la storia con gli occhi di oggi. Anzi, con gli occhi del repubblicano nazionalista e guerrafondaio americano del 2000. La trama è arcinota: nel 480 a.C., per bloccare l’avanzata dell’esercito persiano capitanato da Serse, il re spartano Leonida e 300 valorosi soldati votati al sacrificio difendono il passo montuoso delle Termopili: opporranno strenua resistenza a un nemico numericamente superiore (e non di poco) e consentiranno all’esercito greco di riorganizzarsi. Il tutto è raccontato da Delio, l’unico sopravvissuto al massacro, personaggio immaginario spedito da Leonida a Sparta per raccontare quello che è successo (non c’è invece traccia di Aristodemo, l’unico superstite vero che, tornato a Sparta, venne considerato un vigliacco), al presente e in presa diretta (espediente narrativo d’indubbio effetto), attraverso una narrazione molto breve e veloce (non si arriva alle 100 pagine) e con pochi dialoghi, in cui la potenza delle immagini e le secche frasi a effetto sono preponderanti. Trovandomi perfettamente d'accordo con la disamina dell’opera fatta da Wu Ming 1, 300 è lo splendido esempio di come gli americani utilizzino la storia per rappresentare se stessi (gli spartani), la democrazia (quella difesa da loro), la pace (quella portata da loro con le armi) e i nemici nel mondo di oggi (i persiani, quindi gli islamici, ma più in generale tutti gli asiatici, come provano gli Immortali che vengono rappresentati come dei ninja), ma basterebbe la sola esaltazione della guerra per rendere l’opera ambigua (esattamente l’opposto di un fumetto antibellico e sovversivo come Watchmen di Alan Moore). Già a cominciare dalla rievocazione dell’iniziazione guerresca del futuro re Leonida, nudo, in mezzo alla neve, armato solo di un bastone affilato, aggredito da un lupo tra le rocce in un’anticipazione delle Termopili, si capisce come le inesattezze (ma sarebbe meglio definirle falsità) storiche siano innumerevoli: in realtà, il rito dell’iniziazione guerriera spartana consisteva nell’uccidere a sangue freddo un ilota disarmato, cioè un membro della casta inferiore, ma sarebbe stato troppo pretendere di proporre questo particolare a un pubblico come quello americano chiamato a identificarsi negli eroici spartani che da soli affrontano il mondo a suon di mazzate per esportare la democrazia («Oggi salviamo il mondo dai vecchi, tristi e stupidi metodi e apriamo le porte a un futuro più luminoso di quanto possiamo sperare» dice Delio alla fine, in pieno stile unilaterale). Per Miller la storia greca è il pretesto per mettere in scena lo scontro di civiltà in cui i buoni sono tratteggiati con psicologie ringhianti e fanatiche e sono tenuti insieme dall’epica virile e dalla fratellanza d’armi, e i cattivi sono ritratti come barbari mostruosi, sanguinari e spietati (e vigliacchi, dal momento che combattono da lontano con le frecce). Il nemico, nella poetica violenta dell’autore, è un mostro disumano da ridicolizzare e da eliminare con qualsiasi mezzo, come si può vedere nella scena dell’eliminazione dell’ambasciatore persiano gettato nel pozzo, che in Erodoto non è affatto compiuta da Leonida. La logica del mostro assume poi caratteri fisici evidenti nel caso degli efori, ritratti come dei vecchiacci deformi che si oppongono all’eroismo del valoroso Leonida, e di Efialte, un gobbo mostruoso rancoroso e traditore che vende gli spartani ai persiani per non essere stato accettato nella sua deformità: il fatto che non ci siano prove storiche che Efialte fosse realmente così (in altre parole, se l’è inventato Miller) e che venga presentato come uno scampato alla Rupe Tarpea introduce un’esplicita (e agghiacciante) apologia dell’eugenetica (se Efialte fosse stato ucciso da piccolo, Leonida non sarebbe stato ucciso alle Termopili). Per non parlare del personaggio di Serse, totalmente monodimensionale e del tutto estraneo a quello umano, sfaccettato e pieno di dubbi di Erodoto, Plutarco ed Eschilo, al contrario qui reso come un semidemone sadomaso coperto di piercing paurosamente simile a una drag queen, una figura totalmente omofobica e caricaturale. Certo, il film di Snyder ha fatto anche di peggio...

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