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lunedì 14 luglio 2014

Quentin Tarantino, Reginald Hudlin, R.M. Guera, Denys Cowan, Aijel Zezelj, Jason Latour - Django Unchained

Credo che tutti, ormai, conoscano Django Unchained, o che almeno se ne siano fatti un’idea. Come sempre, il film di Tarantino ha esaltato gli uni e schifato gli altri, mandato in visibilio i suoi sostenitori e contemporaneamente infastidito i suoi detrattori (soprattutto i critici). Soprattutto, ha deluso chi si aspettava una variazione del genere spaghetti western dei tempi che furono (di cui Tarantino è un fan, tanto da averci pure fatto una retrospettiva al Festival di Venezia) e i fan del Django di Corbucci (con Franco Nero), spiazzati dal trovarsi di fronte a quello che non è né un sequel né un remale. In realtà, Django Unchained è il classico film di Tarantino, che prende gli stilemi del cinema di genere partendo da un punto di vista spiazzante (un protagonista western nero) e li mescola con mille altri spunti (e generi) per trasformare la materia in qualcos’altro, alla faccia di chi sostiene che le sue opere sono solo dei mosaici postmoderni ricavati da frammenti di altre pellicole. Anzi, questo è anche il più politicamente impegnato tra i film di Tarantino, quello che tratta a modo suo il tema del razzismo (la vicenda è ambientata nel 1858, due anni prima della Guerra di Secessione americana) e ribaltando ruoli e situazioni in un crescendo lento, drammatico e barocco, tra scoppi di violenta efferata e dialoghi ironici, sadici e taglienti come da scuola tarantiniana. Per chiunque avesse voglia di approfondire l’argomento, Bompiani ha fatto ora uscire la versione italiana della graphic novel basata sul film e originariamente divisa in cinque capitoli sulla base della prima sceneggiatura originale, qui adattata dallo scrittore Reginald Hudlin (anche produttore del film) includendo tutti quei dettagli che, per ragioni di spazio, Tarantino è stato costretto a tagliare dal film (e solo questo dovrebbe bastare a rendere l’opera un must). La trama è quindi quella del film: il dottor Schultz, uno strano dentista tedesco dai modi aulici e la parlata ricercata, ma che in realtà è un cacciatore di taglie, libera lo schiavo nero Django per aiutarlo a riconoscere tre ricercati trasformati in custodi di schiavi. Non solo Django lo aiuta ma tra loro nasce un sodalizio lavorativo e umano che sfocia in un’amicizia sincera. A questo punto l’azione si sposta dal Texas al Mississippi, quando i due si mettono alla ricerca della donna amata da Django, Broomhilda (già una schiava nera con il nome di un’eroina della mitologia germanica è tutta un programma!), di proprietà del più razzista dei più razzisti degli Stati del Sud, Calvin Candie, un perfetto villain da fumetti, uno che allena mandingo per combattimenti all’ultimo sangue e dà i fuggiaschi in pasto ai cani (ben assistito, bisogna riconoscerlo, dagli altri schiavisti presenti nell’opera, spietati e sanguinati, che violentano le donne e scorticano la schiena degli schiavi neri a suon di frustate): sarà nella piantagione di Candy che Django e Schultz si troveranno di fronte un nemico di non minor livello, il subdolo maggiordomo nero Stephen, collaborazionista e razzista quanto se non più del suo padrone. Molto riuscito è il flashback che è stato aggiunto in cui appare Scotty Harmony, goffo padrone di Broomhilda, che serve per introdurre la storia della donna e il personaggio di Candie. Lo stile di Tarantino, d’impatto dal punto di vista visivo e fortemente evocativo, si presta moltissimo a un riadattamento fumettistico, e i colori caldi usati sono adattissimi allo scopo; dal punto di vista prettamente fumettistico, però, l’opera spiazza perché i vari numeri sono stati affidati a disegnatori diversi (il serbo Rajko Milosevic in arte R.M. Guera, Denys Cowan, Aijel Zezelj e Jason Latour) e, in qualche caso, passare da uno all’altro si avverte decisamente. Vale purtroppo la solita regola per prodotti del genere: non potrà mai e poi mai sostituire in qualche modo la visione del film, ed è un handicap notevole. Nell’introduzione al volume lo stesso Tarantino spiega le ragioni che stanno dietro il progetto e confessa la sua passione per i fumetti western che più lo hanno ispirato, serie dei primi anni Settanta come TomahawkBat LashKid Colt OutlawRawhide KidYang e Reno Jones and Kid Cassidy Gunhawks: un tassello in più per cercare di ricostruire la sua enciclopedica e irregolare formazione di cineasta e narratore.

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