giovedì 4 settembre 2014

Mario Maffi - Londra. Ritratto di una città

Quanto è bello trovare un libro su una città che non è una guida turistica ma una specie di suggestivo libro d’amore, soprattutto se la città in questione è la mia preferita, quella in cui ho vissuto e in cui mi rifugio ogni volta che posso, di cui conosco alcuni segreti e ne scopro man mano altri, di cui possiedo luoghi di culto e le mie mete di pellegrinaggio, ricavandone ogni volta qualcosa di nuovo. A realizzarlo è stato Mario Maffi (docente di Cultura Angloamericana all'Università degli studi di Milano), che per la serie sulle città pubblicata da Odoya (libri bellissimi, fittissimi, pieni di foto in bianco e nero) ha ripreso un libro del 2000 già edito da Rizzoli dimostrando di aver realizzato qualcosa di resistere (nonostante l’attentato del luglio 2005) alla prova del tempo. Un libro costruito sulle riflessioni di un trentennio che passa in rassegna tutta la letteratura di e su Londra (Defoe, Fielding, Dickens, ma anche Charlie Chaplin, Karl Marx e Virginia Woolf), che evita per fortuna accenni al London Eye e al museo delle cere di Madame Tussauds (ovvero la quintessenza di Londra per il turista italiota) ma traccia un ritratto fatto di così tanti elementi da sembrare ad alcuni una riedizione del mostro di Frankenstein: “Sezioni di corpi, vite e bulloni, cuciture, cicatrici slabbrate, un coacervo di pezzi che chissà come stanno insieme; a qualcuno parrà che manchi questo o manchi quello: e ne rimarrà perplesso o scandalizzato”. Maffi affronta la metropoli da tutti i punti di vista possibili, da quelli materiali (i quartieri, i palazzi, le strade, le stazioni dei treni e della metropolitana) a quelli “immateriali” (i suoni, le voci, le canzoni popolari, le pagine dei libri, il racconto di un vecchio marinaio in un pub), conscio che Londra è inscindibile dalle innumerevoli suggestioni cinematografiche, musicali, letterarie e di costume; cerca di cogliere le tracce nascoste di un’identità originaria pur nell’impossibilità di tracciarne i confini o un centro, al di là della tradizione che vuole che solo chi è nato entro il raggio sonoro delle campane di St. Mary-le-Bon a Cheapside possa definirsi un “vero cockney”, un autentico londinese, visto l’intreccio di una ragnatela di percorsi (la Londra celtica e sassone, quella romana, quella medievale, quella elisabettiana, quella della Restaurazione, quella georgiana, quella vittoriana, quella della Seconda Guerra Mondiale, quella tatcheriana e quella del Nuovo Millennio) interni a una città che si è ampliata nel corso dei secoli e ha oltrepassato ogni volta se stessa, assorbendo e inglobando, cancellando e rimuovendo. Londra è il mondo: effetto di un impero che non ha mai smesso di ridisegnare geografie economiche, sociali, linguistiche e culturali. Ma Londra è soprattutto un labirinto, una geografia stratificata a cui si sono poi aggiunte altre geografie (immaginarie, letterarie, psicologiche): ecco perché attraversarla significa partecipare a un gioco affascinante che richiede pazienza, tempo, metodo, fantasia e la voglia di viaggiare tra luoghi e secoli, personaggi ed eventi, soprattutto se si considera che gran parte della città di un tempo è stata spazzata via dal grande incendio del 1666 (quando il Lord Mayor, svegliato nel cuore della notte, fece spallucce e se ne tornò a letto bofonchiando in maniera non troppo elegante: “Pfui, basta una pisciata di donna per spegnerlo!”), magari seguendo le linee della tentacolare metropolitana (oggi uno dei simboli della città ma che, alla sua inaugurazione nel 1863, fece commentare al Times: “È un insulto al buon senso comune pensare ce la gente possa mai preferire lasciarsi trasportare attraverso il fetido sottosuolo di Londra in mezzo a un’oscurità che si può toccare con mano”). Maffi affronta poi il rapporto di Londra con il Tamigi, ancora più forte di quello di Parigi con la Senna, che è una delle ragioni della vana ricerca dei suoi confini, perché la geografia urbana e quella naturale sono ormai talmente sovrapposte da apparire inscindibili. L’inevitabile esito di questo percorso non può che essere il senso d’angoscia di non riuscire mai a vedere e a raccontare tutto, ma l’autore invita a non perdersi d’animo e a lasciar perdere la Londra più turistica e di tendenza per ripiegare sulle altre Londre, quelle personali, fatte di luoghi e storie diverse: per questo parla della casa di Dickens, dell’incredibile Old Operating Theatre Museum e dell’altrettanto sorprendente Sir John Soane’s Museum (uno dei grandi architetti di Londra, che fece della sua casa un museo e del suo museo una casa), luoghi meno conosciuti ma unici nel loro genere. Personalmente mi sono ritrovato con una punta di commozione nella descrizione dell’avvicinamento alla metropoli giungendo con il treno dall’aeroporto di Gatwick, attraverso i suburbs con le casette a schiera, la periferia affollata e i primi scorci urbani di mattoni anneriti, quindi la vista della splendida e imponente centrale elettrica di Battersea (quella della copertina di Animals dei Pink Floyd) che annuncia la città o vi saluta mentre la lasciate. Leggendo il libro, mi è venuta voglia di visitare il Geffrye Museum, nel quale sono state ricostruite in sequenza alcune stanze-tipo d’epoca, dal Cinquecento a oggi: sarà uno degli obiettivi del prossimo viaggio a Londra perché, come dice Maffi riprendendo Henry James, “non importa quanto tempo passi, non importa quanto si cambi (e Londra stessa cambi), si finisce sempre per ritrovarla”.

1 commento:

  1. mi fa piacere leggere questa recensione su Londra di Mauro Maffi, di cui sono appassionata lettrice, ammirando i suoi libri colti, brillanti sui luoghi e le città

    RispondiElimina