martedì 22 marzo 2016

Wu Ming 4 - Il Piccolo Regno

L’escursione nel mondo dell’infanzia del collettivo Wu Ming (già iniziata con Cantalamappa) prosegue con questo Il Piccolo Regno, romanzo solista di Wu Ming 4, una fiaba gotica e rurale ambientata in Inghilterra negli anni Trenta che, ancora prima della guerra («perché c’è sempre una guerra che ci battezza col fuoco»), racconta il passaggio dall’infanzia dorata e spensierata alla vita adulta che spesso riserva prove e dolori. È ambientato in un piccolo villaggio di campagna (opportunamente illustrato da una bellissima mappa all’inizio del libro), dove il protagonista narratore (che rimarrà sempre senza nome) passa l’estate insieme ai suoi tre cugini: l’impulsivo e generoso Julius, l’introversa ed enigmatica Ariadne e il timido e pauroso Fedro. Le loro attività sono le più classiche (si rifugiano sulla casa sull’albero, si azzuffano con i ragazzi del villaggio, esplorano il mulino di un mugnaio simile a un orco, hanno a che fare con degli odiosi bambini dediti a esperimenti botanici figli di vicini di casa in odor di nazismo) e, all’interno di questo Piccolo Regno, vivono in una sorta di stato edenico rappresentato dal saper capire ognuno il linguaggio di un animale (Fedro gli uccelli, Ariadne cani, gatti e conigli, Julius le rane e il protagonista gli animali predatori), tanto che anche il loro nome cambia di conseguenza (Fedro è Merlo, Ariadne è Lepre, Julius è Ranocchio e il protagonista è Tasso). Un giorno si imbattono in un antico tumulo e il nostro protagonista, un po’ per bravata e un po’ per dimostrare coraggio, ruba un bracciale al guerriero ivi sepolto. Questo innesta una specie di maledizione: prima viene assalito da un grosso cane nero, poi visitato da uno spettro che, secondo le leggende, esige una vita in riparazione dei torti subiti. Il mondo dei grandi sembra però non capire i problemi dei piccoli e funzionare per regole incomprensibili («Anche questa risposta mi deluse. Era una risposta tipica della Gente Alta quando voleva escluderci»), tanto che, attraverso gli occhi del piccolo protagonista, veniamo a sapere solo che la sua famiglia è fabiana (ma lui non capisce cosa vuol dire, se non che i fabiani sono “i buoni”) e che il fratello della domestica Edda ha non precisati problemi di natura politica (ha una spilla con quattro lettere che però non vengono mai svelate). L’unico diverso è Ned, colonnello ed eroe di guerra, che in realtà è Thomas Edward Lawrence, Lawrence d’Arabia insomma, già personaggio di Stella del mattino dello stesso Wu Ming 4 e qui raro esempio di adulto che sa parlare ai ragazzi e insegna loro che «essere coraggiosi non significa non avere paura, ma fare quello che bisogna fare nonostante la paura», e che «non serve avere paura dei morti. Dei vivi, forse. Da quelli bisogna stare in guardia». Il romanzo, narrativamente solidissimo (tutto torna e ogni personaggio ha un senso in quanto è funzionale alla storia), contiene tutto: l’avventura, la scoperta, il magico, il senso di colpa, la lealtà e il tradimento. Il tono, se non tragico, è dolente e mesto, ben servito dalla narrazione in prima persona a posteriori (il protagonista è ora vecchio). Soprattutto, è un romanzo in cui i bambini sono bambini, e per questo ancora più efficace.

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