Altro libro
di Hilaire Belloc a essere ripescato da Fede & Cultura dopo decenni dalla
sua scomparsa dal mercato italiano, questa volta nientemeno che sulla
Rivoluzione francese. Come Elisabetta regina delle circostanze, è
un saggio parecchio complesso, in alcuni casi addirittura pedante e logorroico,
che sembra presupporre che tutti conoscano a menadito l’argomento e sappiano di
cosa si sta parlando, ma ha alcuni punti a suo favore, che raramente vengono
affrontati sulle pubblicazioni più famose. A differenza di Elisabetta,
comunque, ha meno divagazioni sociali, artistiche e letterarie, e resta
maggiormente concentrato sull’argomento. Ecco la mia introduzione al volume
(sì, ho addirittura scritto un’introduzione):
È possibile essere
cattolici e ammirare la Rivoluzione francese? Sì, sembra dire in questo saggio
Hilaire Belloc, nonostante la condanna radicale da parte della Chiesa dei
principi del 1789 (capaci di germogliare e produrre numerosi frutti nel corso
dell’Ottocento): anzi, lo storico e letterato inglese si definisce subito
“cattolico e, nelle sue simpatie, fortemente attaccato alla teoria politica
della Rivoluzione”, premettendo che questa sua personale caratteristica gli
permette di giudicare il problema come o forse meglio di altri. Pur senza
dimenticare le migliaia di morti ghigliottinati, le stragi, la guerra in
Vandea, le rivolte delle città di Lione, Tolone e Marsiglia, Belloc
sostiene non c’è alcun conflitto tra i principi cui si rifaceva la
Rivoluzione e quelli della Chiesa cattolica, anzi, semmai i problemi
cominciarono solo da un certo punto in poi, per difformità di vedute e di
interessi e per impreparazione delle due parti in causa. Così come il Terrore,
la persecuzione della Chiesa (iniziata dall’imposizione della Costituzione
civile del clero) è la necessaria conseguenza della necessità di trovare un
nemico di fronte a una guerra che andava male e al pericolo di un’invasione
straniera, i cui effetti durano ancora oggi. Vale a dire: il punto di partenza
era buono, gli esiti sono stati nefasti per la singolare capacità dell’uomo di
combinare disastri. Da storico competente, e quindi attento agli antefatti,
Belloc è altresì convinto che i problemi incontrati dalla Chiesa davanti alla
Rivoluzione francese derivino direttamente dai problemi della Chiesa gallicana,
che fin dal secolo precedente si era legata troppo strettamente all’assolutismo
regio francese e si era resa subalterna alla nobiltà (con una certa
mondanizzazione e corruzione della gerarchia ecclesiastica e l’accettazione
delle disuguaglianze e delle ingiustizie sociali). Il modo di procedere
dell’Autore è chiaro sin dal principio: come lui stesso precisa, il suo non è
un racconto della Rivoluzione, ma un’analisi generale che presuppone una
conoscenza dell’argomento quasi enciclopedica. Storico sincero ed entusiasta,
ammiratore di Rousseau e del suo Contratto sociale (alla base
dello Stato moderno), sensibile al concetto di rappresentanza ma acerrimo
nemico del parlamentarismo moderno (verso cui non evita di lanciare invettive),
Belloc ricostruisce a grandi linee le fasi rivoluzionarie e traccia il profilo
dei grandi protagonisti dell’epoca. Robespierre, Danton e Marat rivivono nelle
sue pagine insieme a personaggi meno noti come Mirabeau, Carnot e La Fayette:
di ognuno mette in luce pregi e difetti, passioni e contraddizioni, aspirazioni
ideali e debolezze umane. Non ci si deve meravigliare se Robespierre e Danton
ne escono sotto una luce diversa rispetto alla vulgata rivoluzionaria: il primo
non sarebbe il promotore del Terrore ma una sua vittima, il secondo è invece il
grande artefice della creazione del Comitato di salute pubblica, organo che fu
in grado di dare un centro alla caotica azione rivoluzionaria. Neppure i
sovrani si sottraggono alla sua analisi: Luigi XVI viene tratteggiato come un
uomo onesto e pio sprovvisto di capacità di analisi, Maria Antonietta come una
sovrana incauta ma volitiva e calunniata, ed entrambi pagarono a caro prezzo
problematiche che si trascinavano colpevolmente da troppo tempo. Agli occhi del
lettore moderno, l’opera potrebbe sembrare involuta e, in alcuni casi, di
difficile lettura: lo stile di Belloc, strutturato e pieno di subordinate,
risente dell’epoca in cui fu scritto (1915). Non lo è invece dal punto di vista
contenutistico: il capitolo L’aspetto militare della Rivoluzione affronta
una tematica fondamentale ma spesso trascurata come quella della guerra che la
neonata Repubblica francese si trovò a gestire contro gli altri Stati europei.
Con la sua analisi di fronti, battaglie e armate Belloc dimostra quanto la
storiografia miliare anglosassone sia sempre stata all’avanguardia.
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