
Quando Norvegia non è solo sport invernali, vichinghi e salmoni: questo l’insuperabile titolo di una recensione su Amazon a proposito di Lords Of Chaos, libro-inchiesta sugli efferati delitti del black metal norvegese di inizio anni Novanta, quando la nera fiamma di questo genere musicale fu alimentata in Europa e nel mondo grazie a una lunga scia di fuoco e sangue, tra chiese incendiate, suicidi e omicidi. Oggi, grazie a internet, tutti sanno più o meno di cosa si sta parlando, ma il libro di Michael Moynihan e Didrik Søderlind (del 1998, poi riveduto e ampliato nel 2003, in Italia pubblicato da Tsunami) è stato il primo a cercare di sviscerare fatti che per un certo periodo hanno occupato le pagine di cronaca dei giornali, intendendo i quotidiani e non solo le riviste musicali. Attraverso le parole degli stessi protagonisti, i due autori cercano di mettere in prospettiva le varie vicende e di fornire numerosi approfondimenti di tipo filosofico e culturale nel tentativo di inquadrare seriamente i riferimenti e le correnti di pensiero da cui prendono le mosse certe frange del genere, nato sul finire degli anni Ottanta come estremizzazione del concetto di thrash e death metal. Al centro di tutto, un gruppo di giovanissimi (i Mayhem, i Darkthrone, gli Immortal, gli Emperor) che, vestiti di nero con la faccia pitturata da panda, unirono alla musica pratiche occulte e dichiaratamente sataniche e intenti sovversivi, fondando un movimento culturale che era anche una forma di vita e di ribellione alla società e alla morale costituita. È divertente pensare a tutti quelli che ancora perdono tempo a cercare messaggi occulti e satanici nascosti nella musica rock quando per cinque anni un intero movimento ha inciso dischi che inneggiavano dichiaratamente a Satana, vomitavano odio e predicavano la distruzione del cristianesimo: tutte cose che il genere black fa ancora, per carità, ma ormai è un cliché, uno stereotipo di genere. All’epoca questi invasati ci credevano sul serio, e univano le parole ai fatti: non si contano i roghi delle stavkirke, le chiese in legno del medioevo scandinavo, oggetto della crociata bandita contro il cristianesimo per “risvegliare le coscienze” e vendicare il perduto passato pagano. I fatti fondamentali sono tre: il suicidio di Dead, l’omicidio di un omosessuale da parte di Bård “Faust” Eithun e l’omicidio di Euronymous (Øystein Aarseth) da parte di Varg Vikernes. Nomi che al non addetto ai lavori risulteranno sconosciuti, ma che sono leggendari per ogni metallaro che si rispetti. Dead era il cantante dei Mayhem: giovane introverso e disadattato affascinato dalla morte, un bel giorno decise di spararsi in testa. Euronymous, leader-dittatore dei Mayhem, dopo averlo trovato, pensò bene di correre a prendere la macchina fotografica per farne delle fotografie e di raccogliere pezzi di cranio per farne dei monili. Bård “Faust” Eithun era il batterista degli Emperor e una sera uccise un omosessuale che aveva cercato di abbordarlo a Lillehammer: il suo racconto è veramente agghiacciante per come faccia risalire il suo atto alla curiosità (cosa si prova a uccidere una persona?) ma allo stesso tempo dica di non ricordarsi molto perché gli era sembrato di assistere alla scena da esterno e in una sorta di trance. Euronymous è invece il vero centro propulsore di tutta la vicenda, il vero creatore dello stile e dell’iconografia black metal, patrocinatore di gruppi e gestore del negozio Helvete a Oslo che fu un faro per tutto il movimento (anche se, bisogna dirlo, si dimostrò un pessimo uomo d’affari): estremista per scelta, fu abilissimo a sfruttare ogni possibile elemento per alimentare la sua leggenda maledetta e a promuovere la causa, soprattutto presso la stampa, in una guerra permanente contro tutto e tutti. Insieme a lui Varg Vikernes, leader del progetto Burzum e personaggio altrettanto carismatico: inizialmente furono amici, poi litigarono per questioni di leadership e di denaro, e finì che Varg accoltellò Euronymous a domicilio beccandosi la condanna a 21 anni di reclusione, la più lunga comminabile in Norvegia. Oggi Varg è un uomo libero, vive in Francia con la moglie e i numerosi figli, è un personaggio a suo modo caratteristico, fa lo youtuber e produce con cadenza giornaliera video in cui parla di cospirazioni mondialiste, di survivalismo e di odalismo, propaganda il suo gioco di ruolo MYFAROG, attacca il capitalismo ma ricorre ad Amazon per vendere il suddetto gdr, nuota con l’armatura, cambia l’olio alle sue macchine, indossa buffi copricapi, dà consigli su come trovare una moglie e mostra con orgoglio il suo wc pagano senza acqua corrente che serve per concimare il prato. Si è sempre professato innocente riguardo ai roghi delle chiese (anche se tutto porta ad affermare il contrario) e invoca ancora oggi la legittima difesa nei confronti dell’omicidio di Euronymous. È proprio lui a occupare gran parte del libro (viene intervistata perfino sua mamma!), per le sue dichiarazioni, la sua faccia di bronzo, il suo carisma e la sua furbizia: nella sua carriera è sempre riuscito a sguazzare nel suo ruolo di nemico pubblico numero uno, a cambiare la sua posizione, a ribaltare i ruoli, a passare per vittima, a disconoscere il suo passato. Tra le altre cose, ha detto di non voler suonare più black in quanto genere dipendente dalla chitarra che è uno strumento negroide, e di non aver mai fatto musica satanica perché i suoi dischi erano musica concepita come colonna sonora dei giochi di ruolo. Durante il suo soggiorno nelle patrie galere si è appassionato di esoterismo e di ufologia, è diventato un divulgatore della mitologia vichinga e un ideologo di estrema destra, nemico in ugual misura di cristiani ed ebrei. Al di là delle lungaggini dedicate alla spiegazione del Varg-pensiero, del libro mi hanno colpito due cose: la prima è che, riparlando di quei fatti, la quasi totalità dei protagonisti appare estranea e distaccata, come se si trattasse di qualcosa di marginale; la seconda è che questi pazzoidi che bruciavano chiese e si atteggiavano a demoni tornavano sempre a casa dalla mamma: perfino Euronymous chiuse il negozio dietro decisione dei genitori. Adesso quei protagonisti sono cambiati, hanno abbandonato gli eccessi e si sono dedicati, come nel caso di Ihsahn degli Emperor, a un satanismo di tipo filosofico e intellettuale. Ecco quindi che Moynihan e Søderlind provano a indagare più a fondo i legami con il satanismo, intervistando psicologi e sedicenti esperti, e addirittura Anton LaVey, il celebre fondatore della Chiesa di Satana, convinti che tra lui e il black metal ci fosse un legame; la cosa però non è chiara, né da parte dei musicisti dell’epoca né da parte dello stesso LaVey, che ne prendeva le distanze e li irrideva (ovviamente, anche Varg ha sconfessato del tutto il libro, accusandolo di essere fazioso e mistificatorio). Nel finale, molto spazio è dedicato al racconto di quello che, sulle ali dell’entusiasmo, accadde nel resto d’Europa, specie in Germania con la folle storia degli Absurd, band implicata nell’omicidio di un coetaneo e che poi virò verso la scena black metal nazionalsocialista. Purtroppo, di musica si parla poco per non dire niente. Certo, non si pretende un trattato di analisi e compendio musicale del black metal, ma alla fine i protagonisti di quegli anni, che ancora oggi sono delle leggende per l’intero movimento, risultano solo dei poveri malviventi invasati, disagiati e ideologizzati, e non si capisce perché la gente avrebbe dovuto seguirli. Lo stesso Varg ha prodotto dischi eccezionali con il marchio Burzum (ricordo il mio preferito, Hvis Lyset Tar Oss), ma questo è un aspetto del tutto ignorato da Moynihan e Søderlind, forse più interessati a una cronaca sensazionalistica dei fatti e a inquadrare il fenomeno in una chiave abbordabile per il grande pubblico. Comunque resta un buon punto di partenza, pieno zeppo di illustrazioni.