giovedì 22 dicembre 2016

Michel Houellebecq - H.P. Lovecraft. Contro il mondo, contro la vita

Scrittore molto controverso e discusso (esaltato come profeta e in egual misura denigrato come misantropo e provocatore), Michel Houellebecq è salito alla ribalta delle cronache in occasione della pubblicazione del romanzo Sottomissione, uscito in coincidenza della strage di Charlie Hebdo. Quello che non sapevo è che Houellebecq avesse scritto un piccolo saggio su Lovecraft, agile ma allo stesso tempo profondo, che per me è già un classico: H.P. Lovecraft. Conto il mondo, contro la vita è una magnifica celebrazione del Lovecraft cantore dell’onnipotenza del male, creatore di una mitologia e di una cosmogonia dell’orrore cosmico che affonda le proprie radici nella vita e nella psicologia del Solitario di Providence. Saldando perfettamente le sue opere alla sua biografia, Houellebecq (lovecraftiano fanatico dall’età di 16 anni) analizza le convinzioni narrative di Lovecraft e soprattutto il suo stile ampolloso, enfatico, barocco, criptico e arzigogolato, apprezzandone la portata poetica. Ma soprattutto affronta Lovecraft da scrittore a scrittore, partendo dal profondo disagio di quest’ultimo (e forse dello stesso Houellebecq) dei confronti del mondo e della vita, e non ha paura a descriverlo come razzista, reazionario, antidemocratico, anticonsumista, nemico dichiarato dell’erotismo, del denaro e del progresso (tutti attributi che lo stesso Lovecraft rivendicava per sé): particolari compromettenti in tempi di politicamente corretto imperante, tanto che nessuno dei suoi epigoni si è mai sognato di riprendere e sviluppare le fobie razziali e reazionarie del maestro. Houellebecq spiega però che Lovecraft non ha consacrato la sua opera alla descrizione delle ragioni del suo disgusto nei confronti del mondo moderno, perché in lui l’odio per la vita è preesistente rispetto alla letteratura: il suo obiettivo è piuttosto quello di «offrire un’alternativa alla vita in tutte le sue forme, costruire un’opposizione permanente, un permanente rimedio alla vita». Del tutto ateo e materialista («contrariamente a molti suoi ammiratori, epigoni e studiosi, Lovecraft non ha mai considerato i suoi miti, le sue teogonie, le sue “antiche razze” altrimenti che come mero frutto dell’immaginazione»), considerava l’universo solo come un’accidentale combinazione di particelle elementari: perfino il grande Cthulhu è una combinazione di elettroni, proprio come noi. Il terrore di Lovecraft è interamente materiale: solo così si spiega il ricorso all’utilizzo sistematico di termini e concetti scientifici (anatomici, matematici, algebrici, fisici, geometrici) per raccontare ed esprimere il suo immaginario fantastico. Infatti le scienze, «nel loro gigantesco sforzo di descrizione obiettiva del reale, gli forniscono lo strumento di demoltiplicazione visionaria che gli occorre» per raccontare un vero e proprio «terrore obiettivo, […] privo di qualsiasi connotazione psicologica o umana». Anzi, sempre di più Lovecraft si atterrà al principio che «più gli avvenimenti e le entità descritte saranno mostruose e inconcepibili, più la descrizione dovrà essere precisa e clinica», pur ammettendo, al di là della nostra limitata percezione, l’esistenza di altre entità, sicuramente superiori a noi per l’intelligenza: la loro natura sfugge però a qualsiasi concetto umano e pertanto restano indicibili. Gli uomini riescono a percepirne solo dei fugaci sprazzi e, se cercano di saperne di più, ci rimettono inevitabilmente il senno e la vita. Per di più, tali creature non ci aspettano piene di saggezza e benevolenza al confine del cosmo per guidarci per mano verso un futuro armonioso e amorevole, ma (come facciamo noi con le specie inferiori) sono pronte a divorarci o a sezionarci su un tavolo da laboratorio. La vita per Lovecraft non ha senso, ma non ne ha nemmeno la morte: la morte dei suoi eroi non redime e non porta alcuna conciliazione. Il destino dell’uomo non può che essere quello della disintegrazione e dello smembramento: i personaggi dei racconti lovecraftiani «agiscono da osservatori muti, immobili, totalmente impotenti, paralizzati» e la loro distruzione avviene per gradi diversi (il sogno, l’incubo, la lettura di testi malsani), in una crescente serie di percezioni abominevoli. Houellebecq spiega poi che, nonostante questo assoluto materialismo, Lovecraft era un dichiarato e fiero nemico del realismo («Io credo che il realismo non sia mai bello») e delle sue tematiche (il sesso e il denaro): «Non ha nessuna voglia di dedicare trenta pagine, e nemmeno tre, alla descrizione della famiglia media americana. È dispostissimo a documentarsi su qualsiasi cosa, dai rituali aztechi all’anatomia dei batraci, ma di sicuro non sulla vita quotidiana». E non omette nulla nemmeno a proposito del suo razzismo, che lo portava a scagliarsi contro gli «orripilanti negri simili a giganteschi scimpanzé» ed era perseguitato dall’idea dell’ibridazione della specie e quindi ossessionato da meticci, mulatti e mezzosangue nati da unioni carnali contronatura e dediti alla degradazione dell’umanità tramite la bestialità e il vizio. Un razzismo ricondotto alla stregua di “paura esistenziale” e formatosi in Lovecraft per formazione (era un «gentleman di provincia convinto della superiorità delle proprie origini anglosassoni») e dal suo fallimento personale e professionale nella città di New York, dove si trasferì con la moglie ma dove non riuscì mai a trovare un lavoro, surclassato da immigrati molto più adatti di lui agli ingranaggi del capitalismo americano. Proprio dalla sua parentesi newyorkese trasse «l’idea di una città titanica e grandiosa, nelle fondamenta della quale pullulano ripugnanti creature da incubo», che tante volte sarebbe tornata nelle sue grandi opere successive; allo stesso tempo fu portato a identificarsi con il ruolo del debole, dello sconfitto e della vittima. Ed è qui che per Houellebecq sta l’attualità del Solitario di Providence: in un mondo globale che viaggia a velocità supersonica, che vede persone e merci sfrecciare da città a città e quasi sempre considera solo la logica del profitto, le fobie lovecraftiane sono più presenti e reali che mai.

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