giovedì 1 febbraio 2018

Hilaire Belloc - Napoleone

Dopo La Rivoluzione francese (che ha raccolto qualche critica da parte delle frange più estreme dei lettori cattolici, poco propensi ad accettare qualcuno che parla bene di Rousseau), Fede & Cultura ci riprova con la ripubblicazione di Napoleone, sempre di Hilaire Belloc, una biografia sul modello di Elisabetta regina delle circostanze ma più focalizzata sul personaggio e meno su divagazioni artistico-letterarie. Belloc, mezzo inglese e mezzo francese, racconta la storia del grande condottiero senza tuttavia i pregiudizi contrari degli inglesi e l’entusiasmo acritico dei francesi. Racconta la sua straordinaria vitalità e la sua sfrenata ambizione, ne parla con entusiasmo, ne riconosce i limiti ma rende giustizia al suo carisma. Soprattutto, parla con rammarico del suo tentativo, come generale e legislatore, di unificare l’Europa restituendole la pace (a costo di tante battaglie) e riprendendo la tradizione augustea: un progetto che, se fosse riuscito, avrebbe cambiato l’intera storia e la cultura di un continente condannato ai moti nazionalisti dell’Ottocento e al massacro della Prima Guerra Mondiale. Condivisibile o meno, questa impostazione risente dall’avversione dell’autore per i prussiani. Belloc, da anglofrancese che scrive all’inizio degli anni Trenta, ha ancora vivo il ricordo della Grande Guerra e del militarismo prussiano, e infatti il nemico che contrappone a Napoleone è proprio la Prussia, che a fine Settecento aveva incarnato il sogno illuministico di perfezione e di ordine anche nelle cose militari grazie a un esercito che si reputava invincibile e che invece Napoleone spazza via in un solo giorno, nella battaglia di Jena del 1806. Come ne La Rivoluzione francese grande spazio viene dato alla storia militare, attraverso la quale Belloc fa capire che la storia è andata in un modo ma poteva anche andare in un altro, per via di decisioni personali sbagliate e dello zampino del caso che interviene negli avvenimenti umani e li modifica in maniera decisiva, come nel caso di Waterloo, quando Napoleone pensò di poter vincere e quasi ci riuscì, ma il corpo d’armata da lui mandato per prendere alle spalle i prussiani non arrivò per colpa di un altro ordine arrivato nel frattempo. Belloc ci catapulta sul campo di battaglia, fra le palle di cannone e le cariche della cavalleria, con uno sguardo che potremmo dire cinematografico: addirittura, racconta fatti già noti con uno sguardo obliquo capace di mettere il lettore dentro i fatti con la sensazione di non sapere come andranno a finire (o con la speranza che vadano diversamente). Per esempio, nella battaglia di Abukir, quella in cui Nelson distrusse la flotta francese mettendo di fatto fine alla campagna d’Egitto, Belloc intitola il capitolo “Quello che si vedeva da Rosetta” e racconta quello che si vedeva (poco) e si sentiva, senza sapere come sarebbe andata a finire, attraverso il diario di qualcuno che il giorno della battaglia stava da quelle parti. Quando ci riporta in Francia, Belloc lo fa sempre riversando il suo disprezzo per il parlamentarismo, per i politici immobili e corrotti, come quando ricostruisce il colpo di Stato del 18 brumaio, quando Napoleone abbatté il parlamento rivoluzionario e si fece primo console. Non è però un ritratto agiografico e trionfale dell’imperatore: Belloc ne affronta anche il lato farsesco quando racconta l’incoronazione a Notre-Dame e il pomposo cerimoniale ideato da Napoleone che fece venire il papa da Roma e riprodurre la spada di Carlo Magno, oppure ritrae la folla assiepata fin dal mattino nella chiesa gelata con il papa che passa e benedice senza che nessuno capisca cosa stia facendo (con la Rivoluzione nessuno più ha visto processioni né preti da molti anni) e soprattutto senza che i presenti riescano a vedere qualcosa.

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