martedì 24 aprile 2018

Antonio Caprarica - Il romanzo dei Windsor

Il libro che non ti aspetti. Perché se da una parte c’è l’autore, Antonio Caprarica, ex corrispondente Rai da Londra e Parigi (e direttore di RadioRai) famoso per la propensione a sfoggiare variopinte cravatte mentre disserta di reali inglesi, e dall’altra c’è una copertina veramente terribile che ritrae il nostro mentre sorregge un vassoio pop-trash, è facile pensare male. E invece Il romanzo dei Windsor si rivela una lettura piacevole, che in 300 pagine per 300 anni mescola storia e gossip per raccontare l’Inghilterra attraverso i sovrani della dinastia attualmente regnante e riflettere sul meccanismo della monarchia ereditaria, la cui essenza sta nell’impossibilità di scegliere il nuovo sovrano: «Per definizione, non è il corpo politico che genera il re ma il corpo fisico del suo predecessore: circostanza meramente naturale che consentiva al vecchio Marx di ironizzare sulla monarchia come lotteria “zoologica”». Il libro, che inizia con la citazione di George Bernard Shaw «Il nostro Paese ha prodotto milioni di fruttivendoli per bene ma mai un monarca per bene», è un lungo elenco (non cronologico) di personaggi romanzeschi e detestabili, donnaioli, traditori, bevitori e giocatori, pieni insomma di qualsiasi vizio e difetto, almeno per quanto riguarda la componente maschile della famiglia; ecco quindi la trafila dei Giorgi elettori di Hannover, Giorgio I che buttò fuori di casa il figlio e la nuora sequestrando i nipotini, Giorgio II che fece lo stesso con il figlio costringendolo a fuggire di casa con la moglie che quasi partorì in carrozza, Giorgio IV e la sua instabile vita amorosa (sposò segretamente una cattolica ma dalla mattina alla sera non la volle più vedere, quindi sposò una principessa tedesca pur di avere la copertura dei debiti da parte del padre ma non le rivolse più la parola), Giorgio V (l’inventore del nome Windsor, da Sassonia-Coburgo-Gotha che era) che governava la sua famiglia come se fosse un reggimento e si comportava da vero sadico con i figli. Se si guarda invece alla componente femminile della famiglia, sarà possibile imbattersi in personaggi carismatici e capaci di salvare la dinastia, a cominciare dalla regina Vittoria, vera pioniera dell’idea di famiglia come ditta e modello sociale di riferimento, per arrivare a Elisabetta, attuale regnante, e a sua madre Elizabeth che hanno continuato a proporre la famiglia reale come la famiglia esemplare della porta accanto, quella con cui l’inglese ha potuto identificarsi, lontano dall’esagerazione e dagli eccessi rappresentati da tutti i maschi Windsor, fino all’attuale coppia William e Kate, incarnazione del trionfo della normalità della nuova monarchia e di un’istituzione che ha saputo rinnovarsi e imparare dai suoi errori. Questa è la chiave del successo della monarchia inglese, la seconda istituzione più antica del mondo dopo il papato (nel 1066 saranno mille gli anni trascorsi dall’instaurazione della monarchia normanna sull’isola), che continua a generare curiosità e attenzione ma soprattutto profitti (chissà cosa succederà a Londra quando Carlo, divenuto re Giorgio VII, realizzerà il suo progetto di abbandonare Buckingham Palace per trasferirsi a Windsor), pur costando a ogni inglese solo 53 centesimi l’anno. Caprarica racconta con il suo brio un po’ snob buona parte di questo fascino, il fasto del cerimoniale, l’attenzione per l’etichetta, la consapevolezza di incarnare la tradizione di un impero, tutte cose che rendono gli Windsor molto diversi dai sovrani borghesi e comuni dei Paesi scandinavi, senza tacere dei costanti problemi tra padri e figli e tra madri e figli che hanno sempre contraddistinto la famiglia reale inglese (Vittoria riteneva Bertie, il futuro Edoardo VII, un perfetto idiota e del tutto inadatto a regnare). Soprattutto però l’autore si interroga sulla ragione per cui questa genia di principi viziosi e dissoluti, per non dire debosciati e depravati, una volta sul trono, sono stati capaci di riscattarsi, come se ci fosse una “grazia di stato” connessa al ricoprire il ruolo di monarca: Giorgio II fu l’ultimo sovrano inglese che condusse eroicamente e personalmente i suoi soldati in battaglia, e il balbuziente Giorgio VI (che era ritenuto non adatto al trono) non si sottrasse al dovere ma rimase a Londra sotto le bombe naziste, salvando la dinastia dallo stesso futuro riservato ai Savoia. Perfino il figlio della regina Vittoria, il gaudente Edoardo VII, grande collezionista di donne (nobili, prostitute, cortigiane, contadini), che addirittura si era fatto costruire una poltrona capace di sorreggere la sua enorme stazza e allo stesso tempo di permettergli la pratica del suo sport preferito (l’accoppiamento), una volta sul trono si dimostrò un buon re: infatti cambiò la politica estera inglese, rompendo la tradizionale alleanza con la Germania e gettando le basi dell’alleanza con la Francia che avrebbe contraddistinto il Novecento. Certo, ci sono stati dei casi in cui questa grazia di stato non c’è stata: valga l’esempio di Edoardo VIII, il re che nel 1936 abdicò per sposare Wallis Simpson e che fu capace di farsi ricattare da un’ex amante che aveva ucciso il marito e che sfuggì alla forca minacciando di mandare ai giornali le lettere compromettenti del principe, ma che soprattutto fu sostenitore di una monarchia antiparlamentare e segreto ammiratore della Germania nazista (che onorò anche di una visita dopo l’abdicazione). In chiusura c’è spazio anche (come poteva essere altrimenti?) per il matrimonio di Carlo e Diana: Caprarica riconosce come il fallimento fu il risultato di una coppia male assortita tra un uomo già formato e una ragazza che non capì di essere stata assunta in un’istituzione, per non parlare dell’errore di aprire la loro casa alla televisione. Errori che sembrano essere stati superati e metabolizzati, visto il recente tripudio generale per la nascita del terzo Royal baby.

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