lunedì 14 maggio 2018

Antonio Caprarica - Il romanzo di Londra

Se Il romanzo dei Windsor si è rivelato una gradita sorpresa, Il romanzo di Londra conferma la verve e la bontà di Antonio Caprarica quando parla di materia inglese. Il titolo è più o meno lo stesso, e tratta Londra come un vero e proprio personaggio da romanzo, traboccante di storie, fascino e mistero. Anche la copertina, che ritrae il nostro eccentrico autore travestito da Sherlock Holmes con un nebbioso Tower Bridge alle sue spalle, è perfetta in questo senso e ci introduce in un racconto che, con il tipico stile di Caprarica che mescola storia e pettegolezzo, intende andare al di là delle solite guide turistiche (tutte uguali) e racchiudere lo spirito di questa città che esercita sul mondo intero un fascino e un’attrazione difficilmente riscontrabili altrove. E se questo è vero per il mondo globale di oggi, lo era anche in passato. La capitale inglese è da secoli leader nella moda, nella politica e nella finanza, e quello che è apparso per la prima volta qui, dalla metropolitana al bancomat, è stato poi copiato in tutto il mondo. Città sempre in fermento e rumorosissima, Londra è stata la prima metropoli globale: nel 1800 aveva un milione di abitanti, il doppio di Parigi, che divennero tre milioni 50 anni dopo e sei milioni all’inizio del Novecento. E questo nonostante le grandi calamità che l’hanno colpita nel corso dei secoli: la peste del 1665 che falcidiò la popolazione uccidendo un londinese su cinque; il Grande Incendio del 1666, il cataclisma che rase al suolo gran parte della città; il Blitz tedesco del 1940-41 che danneggiò quasi tutti i monumenti cittadini ma si abbatté in particolare sull’East End. Londra ha sempre avuto la capacità di cambiare sempre la sua pelle e di risorgere dalle sue ceneri, tanto che la fenice è divenuta il suo simbolo: il grande ricostruttore della cattedrale di St. Paul, Christopher Wren, volle che al suo interno fosse inserita una delle pietre che si era salvata dall’incendio con inciso un versetto di Metteo, resurgam, “risorgerò”. Lo stesso East End, un tempo una delle parti più miserabili, malfamate e abiette e ora trasformato dalle Olimpiadi del 2012 e divenuto centro delle startup e dello stile: il sobborgo Shoreditch si è riscoperto il posto alla moda per eccellenza dove andare a prendere l’aperitivo, mentre Whitechapel, un tempo simbolo del peccato, della perversione e dell’orrore (fu il teatro delle imprese di Jack lo Squartatore), è diventata sede della più importante galleria d’arte della città. A tutto questo Caprarica aggiunge la sua esperienza personale cominciata in piena Swinging London quando, appena quattordicenne, fu avventore di un locale di striptease di Soho e si imbatté in una spogliarellista capace di chiedere provocatoriamente ai suoi giovani spettatori «Fascinating, isn’t it?». Si capisce quindi che il suo racconto della città è inscindibile dai racconti di gozzoviglie e depravazioni che l’hanno sempre contraddistinta, a partire proprio dal tempio del peccato di Soho, con la diffusione dell’alcolismo (nel Settecento la popolazione inglese era un decimo di quella attuale e il consumo di gin era dieci volte superiore a quella di oggi), del gioco (soprattutto d’azzardo) e della prostituzione (anche minorile): Londra offriva veramente qualsiasi cosa per tutti i gusti, tanto che non si può non ricordare la famosa frase di Samuel Johnson «Un uomo che è stanco di Londra è stanco della vita». Caprarica racconta quindi la città come luogo della libertà (ambito che finisce esattamente dove incomincia la libertà degli altri), il rispetto per le tradizioni, l’emozione condivisa per il funerale di grandi personaggi, l’understatement, ovvero la dichiarata attitudine a rimpicciolire le cose e le persone, e la self-deprecation, «cioè l’attitudine a svalutarsi o diminuirsi, quasi a rassicurare gli altri comuni inglesi di non nutrire alcuna pretesa di superiorità se non fondata sulle buone, antiche e accettate consuetudini sociali». Allo stesso tempo cerca di esprimere il paradosso di un Paese che è da sempre aperto nei confronti degli stranieri e dei migranti (Carlo II aprì le porte agli ugonotti provenienti dalla Francia) ma che allo stesso tempo è del tutto chiuso nella sua struttura sociale: emblematico il caso dei milionari proprietari di miniere d’oro e di diamanti in Sudafrica arrivati nella seconda metà dell’Ottocento che chiesero al duca di Westminster di poter comprare delle proprietà su Park Lane ma si videro rifiutare la richiesta in quanto ebrei e avventurieri, per di più provenienti dall’East End. Tra le pagine del libro si muovono Charles Dickens, Lady Diana e la sua antenata Georgiana Spencer, ma c’è spazio anche per l’ossessione inglese per i fantasmi, come quello di una donna assassinata e decapitata dal marito nel Settecento che talvolta esce dal laghetto di Buckingham Palace e che ha fatto uscire di strada un automobilista: arrestato dalla polizia per ubriachezza, è stato assolto dal giudice. Senza dimenticare la fascinazione della città per il delitto: solo a Londra è possibile trovare Martin Fido, che ha scritto A Murder Guide To London, o De Quincey, autore de L’assassino come una delle belle arti, per non parlare dei gemelli Kray, feroci ed efferati banditi che uccidevano spesso a mani nude ed estesero il loro regno criminale (il racket delle estorsioni e dei locali notturni) a partire dall’East End, pur risultando amatissimi dalla gente. Se siete alla ricerca di una guida tradizionale statene lontani, se invece siete di quelli che cercano qualcosa di più della solita visita al museo delle cere di Madame Tussauds o di un giro sul London Eye Il romanzo di Londra potrebbe davvero fare al caso vostro.

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