domenica 30 settembre 2018

Umberto Eco - Il fascismo eterno

Fare i conti con il fascismo come fenomeno storico non è affatto facile, soprattutto in Italia, dove molta gente dopo la guerra ha dovuto far finta di non essere stata fascista o è stata cooptata dal nuovo Stato democratico e quindi non ha avuto molta voglia di tornare sull’argomento. Il fascismo, più che un fenomeno storico, resta una maledizione, uno spauracchio agitato in periodo elettorale, una categoria spesso di comodo applicata per delegittimare il nemico politico. Tra le opere fondamentali di questa idea di fascismo come categoria dello spirito rientra questo piccolo libretto Il fascismo eterno del leggendario Umberto Eco, scritto a metà degli anni Novanta e già apparso in Cinque scritti morali della Bompiani, ma ora ripubblicato come opera stand alone da La Nave di Teseo. Ha una parte autobiografica in cui Eco racconta di quando, da piccolo, ha avuto a che fare personalmente con l’irregimentazione o di quando, per la prima volta, ha preso coscienza dell’esistenza della resistenza. Poi però libretto diventa un saggio a tutti gli effetti in cui Eco riconosce che il termine fascismo designa un insieme vastissimo di atteggiamenti autoritari e di politiche repressive dall’ideologia e dall’identità non ben definita (in maniera molto diversa dal nazismo e dal comunismo): al suo interno trovano infatti posto monarchia e rivoluzione, religione cattolica e culto della violenza, il futurismo di Marinetti e il decadentismo di D’Annunzio. Per questo Eco parla di Ur-Fascismo, il “fascismo eterno”, di cui delinea le caratteristiche: l’esaltazione della Tradizione (i cui valori sono indubitabili e incorruttibili), il sincretismo (fagocitando all’occorenza autori diversissimi come De Maistre, Guénon e Gramsci), il rifiuto del modernismo e del progresso (e soprattutto dell’illuminismo), il sospetto e la diffidenza nei confronti della cultura e degli intellettuali (la famosa dichiarazione attribuita a Göbbels «Quando sento parlare di cultura, estraggo la mia pistola»), il rifiuto della differenza e del disaccordo. Il fascismo ha come obiettivo della sua propaganda le classi medie frustrate, alle quali esso fornisce un’identificazione a base di parole vuote, teorie del complotto (spesso gli ebrei), razzismo e xenofobia, perché il diverso è sempre una presenza minacciosa e destabilizzante. Eco si sofferma anche sulla neolingua fascista, sostenendo che i testi del regime «si basavano su un lessico povero e su una sintassi elementare, al fine di limitare gli strumenti per il ragionamento complesso e critico», unitamente al costante ricorso a un linguaggio bellico per scatenare la guerra contro il nemico, dalla quale scaturirà una nuova età dell’oro. L’obiettivo è chiaro: «L’Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherato e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo». Sempre in guardia, dunque. La parte più interessante è quella in cui Eco prevede che l’ambito in cui il nuovo fascismo si costruirà non sarà più la piazza delle adunata oceaniche ma la tv e internet, dove «la risposta emotiva di un gruppo selezionato di cittadini può venire presentata e accettata come la “voce del popolo”». Tenendo conto che era il 1995 e visto l’attuale sfacelo della rete e soprattutto dei social, viene da pensare che Eco sia stato veramente profetico. Magari in realtà il degrado non ha colpito solo le fantasie di sostenitori rossobruni o gialloverdi, ma qualcuno non lo ammetterà mai.

Nessun commento:

Posta un commento