martedì 30 ottobre 2018

Alexandre Dumas - I Compagni di Jéhu. Prima parte

Prosegue la pubblicazione della saga di Dumas sulla rivoluzione francese e l’impero napoleonico portata avanti da Gondolin, questa volta con la prima parte delle due parti de I Compagni di Jéhu, ovviamente illustrata. Considerato un romanzo minore e definito da Benedetto Croce «uno dei più deboli tra quelli della decadenza letteraria di Dumas», che «ribocca, da cima a fondo, di quella blague a lui consueta, disinvolta, spiritosa e briosa, e insieme ingenua e trasparente come di chi la dia a bere a se stesso prima che ai lettori» (insomma, una lettura facilona e infantile che svia dalla vera letteratura), I Compagni di Jéhu continua la storia de I Bianchi e i Blu (anche se in realtà è stato scritto dieci anni prima) esattamente a dove la si era lasciata, dopo il ritorno di Napoleone dalla campagna d’Egitto narrata ne L’ottava crociata. Almeno, la trama è molto più unitaria e compatta rispetto alla frammentazione de I Bianchi e i Blu: siamo nel 1799 e la società segreta dei Compagni di Jéhu, antirivoluzionaria e antinapoleonica, già trovata ne Il colpo di Stato, continua ad assaltare le diligenze che trasportano i rifornimenti del governo, per finanziare le armate dei ribelli realisti della Vandea e della Bretagna che combattono per la restaurazione della monarchia borbonica. A guidarli c’è Morgan, nome di guerra di Charles de Saint-Hermine (un cui fratello è stato fucilato all’inizio de L’armata del Reno); dall’altra parte troviamo l’intrepido Roland de Montrevel, aiutante di campo di Bonaparte e incaricato da quest’ultimo di far cessare le scorrerie dei Compagni. Roland approfitta di ogni occasione per buttarsi senza paura nel nelle braccia del pericolo dal momento che è affetto da un aneurisma cardiaco che potrebbe ucciderlo in qualunque momento («Da oltre un anno ho scoperto di avere la disgrazia di non poter morire»), ma è anche fratello di Amélie, di cui Morgan è innamorato. Le figure dei giovani appaiono luminose, fiere, belle, nobili e pieni di ardore, insomma i tipici eroi di cui si innamora appena descritti: anche i Compagni di Jéhu, pur se spietati, si mostrano sempre intrepidi, cortesi e pieni d’onore, e a loro non può mai mancare la simpatia del lettore e dell’autore. A tutto questo si sovrappone poi la presa del potere da parte di Napoleone, che realizza il suo colpo di Stato approfittando della corruzione del Direttorio e delle istituzioni repubblicane e si fa primo console, in attesa di qualcosa di più. Tornano anche gli incredibili, i giovinastri eleganti della reazione termidoriana che ostentano affettazione nei modi e nella parlata (evitano di pronunciare la erre di rivoluzione). Alcune descrizioni, come quella della certosa di Seillon (nascondiglio dei Compagni di Jéhu) e l’incontro con il fantasma, traboccano di lirismo poetico, mentre altre scene in qualche modo anticipano il western («Si sedette davanti alla tavola, staccò il mantello per avere piena libertà di movimento, prese le pistole che aveva alla cintura, ne appoggiò una davanti a sé e, battendo tre colpi sul tavolo con il calcio dell’altra: “La seduta è aperta,” disse ad alta voce, “i fantasmi possono venire.”»). Da segnalare alcuni particolari geniali come la chiesa stipata di fieno per evitare la demolizione («Il sindaco ha decretato che, in espiazione del culto erroneo al quale era stata adibita, fosse convertita in magazzino di foraggi») o il parrucchiere che confessa, portandosi tragicamente la mano sul cuore, di essere filomonarchico e filoaristocratico (dei nobili la sua categoria custodiva acconciature e segreti); il picco però lo si raggiunge con l’incredibile-vandeano che indossa un gilet fatto con la pelle del fratello morto fucilato e i pantaloni fatti con la pelle del caporale che ha comandato la fucilazione. Tutto questo, con buona pace di Benedetto Croce, ne fa una grande lettura. Ovviamente la storia si interrompe a metà: per leggerla tutto sarà necessario aspettare la seconda parte.

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