Si ha un bel parlare ai bambini dei valori dello sport e della poesia
della competizione, quando in realtà il calcio è marcio. Ci aveva già pensato
il recente Uccidi Paul Breitner di
Luca Pisapia, che senza particolari remore faceva brandelli di ogni narrazione
consolatoria e diceva non esiste contraddizione fra calcio, potere e
capitalismo: non è mai esistita un’epoca felice delle origini da contrapporre a
quello moderno, perché da sempre il calcio è strumento di potere e in questo
senso nasce moderno. Rimarca lo stesso concetto questo I veri
padroni del calcio di Marco Bellinazzo, giornalista de “Il Sole 24 Ore” esperto di calcio
e business, che sin dalle prime battute è chiarissimo: «Il football è sempre stato per natura “politico”,
la sua vocazione popolare e la sua intrinseca capacità di radicarsi tra le
passioni più profonde degli individui ne fanno qualcosa di ontologicamente
politico. Il Ventesimo secolo è stato lastricato di prototipi di questo
connubio, dalla Nazionale italiana bicampione mondiale negli anni trenta,
dominata dal regime fascista, alla Coppa del Mondo del 1978 in Argentina
sfruttata per osannare la dittatura dei generali. Negli anni novanta, poi, la
manipolazione del calcio come strumento di partiti o movimenti ha avuto
manifestazioni eclatanti, dal rincorrersi dei successivi sportivi del Milan,
con le affermazioni di Forza Italia e di Silvio Berlusconi, alla ex Jugoslavia,
dove il tifo ha fatto da incubatore ai radicalismi nazionalistici». Il libro è quindi
una riflessione sul valore politico ed economico del calcio, uno dei grandi
affari del mondo globalizzato che sposta miliardi e potere e cambia gli assetti
globali. Non è un caso che per un Paese sia più importante essere riconosciuto
dalla Fifa che dall’ONU: sembra una forzatura, ma non lo è. La Fifa (che ha più
Stati membri dell’ONU) è un’organizzazione in grado di dare legittimità a nuovi
Stati (Kosovo, Sud Sudan) e territori in cerca di autonomia o contesi (Gibilterra).
La stessa Palestina, che siede all’ONU come Stato osservatore dal 2012, è stata
ammessa alla Fifa già nel 1998. Questo è possibile anche e soprattutto in virtù
del potere che il calcio ha di creare: al suo imprimatur ambiscono minoranze etniche,
linguistiche e popoli senza Stato. Ed è per questo che chi controlla il calcio
controlla il mondo, non solo per la spartizione della torta derivante dalla
vendita dei diritti televisivi: ne sanno qualcosa Blatter e Platini, forse
rappresentanti di un governo troppo autoreferenziale e non al passo con i tempi,
caduti per ingerenza dell’FBI americana al fine di punire gli illeciti commessi
(presunti, dal momento che non sono stati condannati da alcun tribunale ordinario).
Lo sport è sempre stato
una leva formidabile di soft power e
un veicolo di legittimazione per i regimi politici, a livello sia nazionale che
internazionale. Figuriamoci l’organizzazione di una Coppa del Mondo, che
rappresenta la consacrazione di un Paese, oltre che un volano per la sua
economia, come rappresenta l’assegnazione dei Mondiali dal 2018 al 2030 alle
grandi potenze che stano colonizzando il calcio: Russia, Paesi del Golfo (Qatar),
Stati Uniti e Cina. La corposa e dettagliatissima analisi (in primo luogo economica
e finanziaria) di Bellinazzo passa in rassegna non solo l’affermazione di
queste nuove potenze che stanno colonizzando le principali leghe europee (e non
solo) grazie all’acquisizione di sponsorizzazioni e proprietà di club, ma anche
i
conflitti fra Ucraina e Russia, il ruolo degli oligarchi, la guerra del doping
fra Stati Uniti e Russia, gli hackeraggi russi e l’elezione di Donald Trump, la
guerra in Siria e il ruolo della Turchia, lo scontro tra sciiti e sunniti, gli
attacchi dell’Isis agli stadi, il Sudamerica attraversato dalle contrapposte spinte peroniste e americaniste: tra petrodollari, rubli e yuan, è possibile
tracciare un filo rosso nelle trame di eventi apparentemente distanti fra loro
per dimostrare che sempre più il calcio si è intrecciato alle vicende belliche
che hanno funestato lo scacchiere geopolitico, fino al punto di poter parlare
di una vera e propria geopolitica del calcio (come prova il recente
allargamento del mondiale a 48 squadre da parte del nuovo presidente Infantino,
con più posti riservati ad Asia, Africa e Nord America). E poi uno si stupisce
che Inter e Milan siano state acquistate dai cinesi: il passaggio di consegne
da parte di Moratti e Berlusconi rappresentano la fine di un’epoca, quello del
mecenatismo familiare, a favore di un nuovo modello più dedito alla speculazione
finanziaria. Il capo del partito comunista cinese Xi Jinping sembra aver capito
tutto: niente come il calcio incarna «valori e modelli politici, coniugando attività sportiva, impresa,
patriottismo, aggregazione sociale, influenza internazionale».
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