martedì 30 aprile 2019

Marco Bellinazzo - I veri padroni del calcio

Si ha un bel parlare ai bambini dei valori dello sport e della poesia della competizione, quando in realtà il calcio è marcio. Ci aveva già pensato il recente Uccidi Paul Breitner di Luca Pisapia, che senza particolari remore faceva brandelli di ogni narrazione consolatoria e diceva non esiste contraddizione fra calcio, potere e capitalismo: non è mai esistita un’epoca felice delle origini da contrapporre a quello moderno, perché da sempre il calcio è strumento di potere e in questo senso nasce moderno. Rimarca lo stesso concetto questo I veri padroni del calcio di Marco Bellinazzo, giornalista de “Il Sole 24 Ore” esperto di calcio e business, che sin dalle prime battute è chiarissimo: «Il football è sempre stato per natura “politico”, la sua vocazione popolare e la sua intrinseca capacità di radicarsi tra le passioni più profonde degli individui ne fanno qualcosa di ontologicamente politico. Il Ventesimo secolo è stato lastricato di prototipi di questo connubio, dalla Nazionale italiana bicampione mondiale negli anni trenta, dominata dal regime fascista, alla Coppa del Mondo del 1978 in Argentina sfruttata per osannare la dittatura dei generali. Negli anni novanta, poi, la manipolazione del calcio come strumento di partiti o movimenti ha avuto manifestazioni eclatanti, dal rincorrersi dei successivi sportivi del Milan, con le affermazioni di Forza Italia e di Silvio Berlusconi, alla ex Jugoslavia, dove il tifo ha fatto da incubatore ai radicalismi nazionalistici». Il libro è quindi una riflessione sul valore politico ed economico del calcio, uno dei grandi affari del mondo globalizzato che sposta miliardi e potere e cambia gli assetti globali. Non è un caso che per un Paese sia più importante essere riconosciuto dalla Fifa che dall’ONU: sembra una forzatura, ma non lo è. La Fifa (che ha più Stati membri dell’ONU) è un’organizzazione in grado di dare legittimità a nuovi Stati (Kosovo, Sud Sudan) e territori in cerca di autonomia o contesi (Gibilterra). La stessa Palestina, che siede all’ONU come Stato osservatore dal 2012, è stata ammessa alla Fifa già nel 1998. Questo è possibile anche e soprattutto in virtù del potere che il calcio ha di creare: al suo imprimatur ambiscono minoranze etniche, linguistiche e popoli senza Stato. Ed è per questo che chi controlla il calcio controlla il mondo, non solo per la spartizione della torta derivante dalla vendita dei diritti televisivi: ne sanno qualcosa Blatter e Platini, forse rappresentanti di un governo troppo autoreferenziale e non al passo con i tempi, caduti per ingerenza dell’FBI americana al fine di punire gli illeciti commessi (presunti, dal momento che non sono stati condannati da alcun tribunale ordinario). Lo sport è sempre stato una leva formidabile di soft power e un veicolo di legittimazione per i regimi politici, a livello sia nazionale che internazionale. Figuriamoci l’organizzazione di una Coppa del Mondo, che rappresenta la consacrazione di un Paese, oltre che un volano per la sua economia, come rappresenta l’assegnazione dei Mondiali dal 2018 al 2030 alle grandi potenze che stano colonizzando il calcio: Russia, Paesi del Golfo (Qatar), Stati Uniti e Cina. La corposa e dettagliatissima analisi (in primo luogo economica e finanziaria) di Bellinazzo passa in rassegna non solo l’affermazione di queste nuove potenze che stanno colonizzando le principali leghe europee (e non solo) grazie all’acquisizione di sponsorizzazioni e proprietà di club, ma anche i conflitti fra Ucraina e Russia, il ruolo degli oligarchi, la guerra del doping fra Stati Uniti e Russia, gli hackeraggi russi e l’elezione di Donald Trump, la guerra in Siria e il ruolo della Turchia, lo scontro tra sciiti e sunniti, gli attacchi dell’Isis agli stadi, il Sudamerica attraversato dalle contrapposte spinte peroniste e americaniste: tra petrodollari, rubli e yuan, è possibile tracciare un filo rosso nelle trame di eventi apparentemente distanti fra loro per dimostrare che sempre più il calcio si è intrecciato alle vicende belliche che hanno funestato lo scacchiere geopolitico, fino al punto di poter parlare di una vera e propria geopolitica del calcio (come prova il recente allargamento del mondiale a 48 squadre da parte del nuovo presidente Infantino, con più posti riservati ad Asia, Africa e Nord America). E poi uno si stupisce che Inter e Milan siano state acquistate dai cinesi: il passaggio di consegne da parte di Moratti e Berlusconi rappresentano la fine di un’epoca, quello del mecenatismo familiare, a favore di un nuovo modello più dedito alla speculazione finanziaria. Il capo del partito comunista cinese Xi Jinping sembra aver capito tutto: niente come il calcio incarna «valori e modelli politici, coniugando attività sportiva, impresa, patriottismo, aggregazione sociale, influenza internazionale».

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