Neil Gaiman è uno degli autori più interessanti del
panorama internazionale, il cui eclettismo gli ha permesso di tracciare una via
assolutamente personale che rimane una fonte di ispirazione per chiunque si
avvicini al mondo del fantastico. Questa non è la mia faccia
è una sua antologia che contiene discorsi, saggi e introduzioni di varia
provenienza (anche temporale), una miscellanea che a un occhio superficiale e poco attento
potrebbe risultare un ozioso e furbo riempitivo per fare due spiccioli aggiuntivi
da parte di un autore che è comunque una rockstar (riprendendo la famosa
definizione del suo amico Alan Moore). Certo, il fatto che racconti la genesi
di molti dei suoi romanzi e racconti lo rende difficile da affrontare per chi
non lo conosce, ma non si tratta solo di questo: l’antologia è piuttosto una
dichiarazione d’amore di Gaiman verso la letteratura, i libri che ha amato, gli
autori da cui ha attinto e che gli hanno insegnato tutto quello che sa sulla
scrittura. È emozionante leggere del suo amore per Le
Cronache di Narnia di C.S. Lewis (da cui copiò l’uso delle
parentesi nei temi e nei compiti scolastici), ciclo che per la prima volta gli
ha fatto pensare che ci fosse un autore dietro un libro, e imbattersi nell’ammissione
che il desiderio di diventare anche lui scrittore, e in particolare scrittore
di fantastico, è nato leggendo Il Signore degli Anelli
di Tolkien. O di quando racconta di quando a scuola raccontò una barzelletta
contenente la parola fuck a un suo
compagno e ottenne il risultato di rischiare l’espulsione e di perdere il
compagno (che la raccontò a sua volta a sua madre), immediatamente ritirato «da
quel covo brulicante di iniquità scatologiche». Un episodio che gli ha
insegnato che le parole hanno un potere e che bisogna selezionare con cura il
proprio pubblico.
Dalle biblioteche alle librerie che hanno caratterizzato
la sua vita, in chiave assolutamente personale, Gaiman trasmette l’idea che la
letteratura non sia un monologo chiuso ma un dialogo sempre aperto, che
arricchisce la persona e le permette di imparare, sognare e vivere in altri
mondi e dimensioni dalle quali è possibile tornare diversi, arricchiti. La sua
fiducia nella narrazione è totale, il suo approccio onnivoro e positivo, tipico
di chi è cresciuto sui libri e che vive per i libri: non è importante leggere
su carta, su ebook o su cd, l’importante è leggere, in base a quello che piace.
E non bisogna nemmeno mantenere un atteggiamento snobistico nei confronti di
determinati generi considerati sciocchi, come la letteratura d’evasione, i
fumetti o i libri per bambini, perché si otterrebbe un effetto
controproducente: «Adulti bene intenzionati possono distruggere con grande
facilità l’amore per la lettura di un bambino: impeditegli di leggere quello
che gli piace, o dategli i libri degni ma noiosi che piacciono a voi, l’equivalente
contemporaneo dei libri "educativi" di epoca vittoriana. Vi
ritroverete con una generazione di ragazzi convinti che leggere non sia figo e,
peggio ancora, che non sia un piacere». Una frase che andrebbe incisa in ogni
libreria come stella polare per tutti quegli adulti noiosi e pieni di
preconcetti che pensano che i bambini debbano essere distolti con la forza dai
libri di loro interesse e costretti a leggere tomi sacri ed edificanti.
Molti sono i consigli forniti sulla scrittura, ma tutti
riguardanti la dedizione e la passione: si deve amare quello che si fa, perché
la scrittura è prima di tutto felicità e benessere, e coltivare le proprie
ossessioni, consci che esse possono produrre arte. Bellissimo è il ragionamento
sui miti, da Gaiman lungamente utilizzati a partire dal fumetto Sandman per arrivare ad American Gods. Con una metafora
presa dal giardinaggio, per il nostro i miti sono come il compostaggio:
«Iniziano come religioni, come credenze con radici profondissime, e come storie
che si aggregano in religioni man mano che si sviluppano. (...) E poi, quando
le religioni passano di moda, o le storie non sono più ritenute vere in senso
letterale, diventano miti. E il compost di miti è diventato terriccio, il
terreno fertile per altre storie e altri racconti che sbocciano come fiori
selvatici». I miti si sono quindi adattati alle diverse epoche («Anansi, il dio
ragno dell’Africa, diventa Fratel Coniglietto alle prese con il bambino di
pece») e si sono trasformati nei supereroi dei fumetti, proliferano nelle
leggende metropolitane, diventano icone e celebrità, e quindi sono nostri in
tutto e per tutto, perché raccontano la nostra vita: da qui la necessità di
raccontarli, riplasmandoli e riadattandoli. Lo stesso vale per le fiabe, nate
come storie che adulti raccontavano ad altri adulti e diventate favole per
bambini quando sono passate di moda, proprio come, secondo l’analogia fatta da
Tolkien, «i mobili non più graditi sono spostati nella nursery: non sono nati
come mobili per bambini, è solo che gli adulti non sapevano più che farsene».
Si ride spesso per tutti gli aneddoti riportati, come quando Gaiman racconta che lui e
Pratchett hanno scritto Buona Apocalisse a tutti!
scambiandosi floppy disk per posta; altre volte ci si meraviglia, come quando scopriamo
che in Cina hanno finanziato una convention di fantascienza dopo aver notato
che chi lavora a Microsoft, Google e Apple da ragazzo leggeva sempre fantascienza.
Oppure quando il nostro stabilisce un’equiparazione tra musical e pornografia:
come nel musical tutto è un pretesto per mettere in scena le canzoni, nel porno
tutto è un pretesto per mostrare una sequenza di scene prestabilite, secondo le
regole codificate dal genere. Senza quelle regole, il pubblico si sentirebbe
fregato: non è l’argomento a fare il genere ma le sue regole. Di sicuro da
Gaiman si deve sapere cosa aspettarsi, cioè dissertazioni e divagazioni sul
fantasy, la fantascienza e l’horror, con una grande attenzione per i diversi
linguaggi, in linea con la sua poliedricità. C’è una galleria di ritratti di
autori che Gaiman ha conosciuto o con cui ha lavorato (Terry Pratchett, Douglas
Adams, Stephen King), una serie di recensioni sui generi e i romanzi amati (Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, Jonathan Strange & il signor Norrell
di Susanna Clarke), l’approccio ai film (l’amato La
moglie di Frankenstein) e alle sceneggiature (MirrorMask), una dichiarazione d’amore
per Doctor Who (che si scopre essere stato fondamentale per la realizzazione di
Neverwhere), una lunghissima
dissertazione sui fumetti (Jack Kirby, Will Eisner, Bone
di Jeff Smith) e il modo di realizzarli, un surreale reportage di una notte passata
per le strade di Londra, la narrazione di una serata agli Ocar, addirittura un
testo sorpresa che saltava fuori nel videogioco SimCity 2000 se si andava in
biblioteca. Non mancano nemmeno capitoli sulla musica (Tori Amos e Lou Reed, a
cui il nostro ha fatto perfino un’intervista) e sull’arte (The Fairy Feller’s Master-Stroke di
Richard Dadd, la National Portrait Gallery), il sostegno a Charlie Hebdo, uno sguardo sulla Siria, senza
dimenticare il racconto dell’incontro con la moglie Amanda Palmer, cantante
alternativa e controversa, oltre a vari ragionamenti sulla vita.
Ovviamente non ho detto tutto. C’è un universo in
questo libro, esattamente come c’è un universo nella mente di Gaiman. Alla fine
la sua lezione è che la lettura fa scoprire mondi e la scrittura ne produce
altri. È il classico libro che ti fa stabilire connessioni, ti mette addosso una voglia incredibile di
procurarti e leggere tutte le opere e gli autori citati che non conosci, e ti
getta nella disperazione perché ti rendi conto che non ce la farai mai. Ma ti esorta anche a rischiare, a provare a dire la tua, a creare la tua opera d'arte.