A dispetto
del suo titolo esplicito e provocatorio, Porno è il romanzo prosecuzione
di Trainspotting, diverso ma ugualmente folle, sempre ambientato nella
cornice del sobborgo portuale di Leith, vero e proprio non-luogo per nulla
raccomandabile. Dieci anni dopo, il protagonista è il cinico Sick Boy, al secolo
Simon David Williamson, il quale, sopravvissuto al fallimento londinese come
truffatore, marito e padre, sniffa cocaina e intende fare il botto girando un
film porno (Sette troie per sette fratelli) nel retro di un pub e
partecipare al festival hard di Cannes: per questo, ingaggia una serie di
erotomani e in particolar modo la macchina del sesso Terry, ma il salto di
qualità decisivo avviene quando nella compagnia entra Nikki, splendida
studentessa-massaggiatrice priva di inibizioni. I fili del destino sembrano
riannodarsi perché ritroviamo invischiati nella vicenda tutti i personaggi la
cui amicizia si era disgregata alla fine di Trainspotting a causa della
fregatura di Mark Renton, che all’inizio si nasconde ancora ad Amsterdam (dove
si è rifugiato) ma poi viene scovato da Sick Boy. Spud continua a essere perso
nella sua dipendenza dalle droghe ma è impegnato nell’impresa di scrivere una
storia del suo sobborgo, mentre lo psicopatico Begbie è in prigione per
omicidio ed è ben intenzionato a vendicarsi di Renton. Avendolo letto subito
dopo Trainspotting, non sono incappato in alcun modo nella sindrome del
fan deluso per un seguito deludente e fuori tempo massimo, quindi non mi metto
a gridare che mi hanno rubato l’infanzia o i miei sogni. Pur nella sua disorganica
ed eccessiva lungaggine, Porno ha senza dubbio il merito di donare un
futuro a un gruppo di tossici sbandati che un futuro sembravano non avercelo.
Dopo aver narrato il mondo dell’eroina, Welsh tenta di raccontare quello del
porno amatoriale in chiave di riscatto sociale senza cadere nell’errore di film
come Zack & Miri – Amore a... primo sesso e La banda del porno:
se quei film partono da pretese grevi e oltraggiose ma finiscono nei territori
del sentimentalismo più conformista, Porno resta un bell’esempio di narrazione
amorale, politicamente scorretta e quasi documentaristica nella sua esplicita
crudezza e abbondanza di dettagli sordidi. Nulla è risparmiato al lettore, a
livello di amplessi e scurrilità: di Trainspotting è ripresa la
struttura corale, con i vari capitoli che raccontano in prima persona le
disavventure dei personaggi attraverso i loro diversi punti di vista e la loro
voce, tra eccessi scatologici, bassezze e tentativi di truffa o sopraffazione
(il clima di sfiducia è reciproco e fino alla fine ci chiederemo chi sarà a
fregare chi), con il solito ritmo gergale tipico dell’autore, i cui eccessi tuttavia
questa volta rischiano di sfociare nel manierismo (stimolato dalla tematica
pruriginosa, Welsh sembra divertirsi un sacco a scandalizzare il lettore, e non
si risparmia nemmeno le bestemmie). Allo stesso tempo, il romanzo mantiene la
carica di critica sociale del predecessore («Sigarette, alcol, eroina, cocaina,
anfe, miseria e inculamento del cervello da parte dei media: le armi di
distruzione del capitalismo sono più sottili ed efficaci di quelle del nazismo,
e lui non ce la fa contro di loro») e cerca di raccontare quanto i tempi siano
cambiati anche nello sballo (la diffusione delle droghe sintetiche) e la
disillusione degli anni Duemila («Questa è la nostra tragedia: che nessuno ha
una vera passione, a parte i manipolatori distruttivi come Sick Boy o i viscidi
opportunisti come Carolyn. Gli altri sono tutti talmente buttati giù dalla
merda e dalla mediocrità che li circonda. Se negli anni Ottanta il mondo era “io”
e nei Novanta “esso”, nei Duemila è “oide”. Tutto dev’essere vago e contenuto.
Prima era importante la sostanza, poi lo stile era tutto. Adesso tutto viene
simulato»). Ovviamente, la visione portata dai nostri (anti)eroi è sempre
quella, senza modelli o bandiere di riferimento ma solo nel nome dell’individualismo
più sfrenato («Renton. Chi è? Cos’è? È un traditore, un infamone, uno stronzo,
un crumiro, un egoista bastardo, è tutto quello che uno nato povero dev’essere
per entrare nel nuovo sistema capitalista. E io lo invidio. Troia, invidio
sinceramente il bastardo, perché in realtà non gliene fotte niente di nessuno a
parte se stesso»), e anche l’atteggiamento di sfida e sfrontatezza verso la
società borghese che cerca di responsabilizzarli e reintegrarli è lo stesso
(Sick Boy riceve una lettera dell’ufficio del capo della polizia di Contea che
lo ringrazia per l’importante contributo nella guerra alla droga e lui lo
attacca dietro il bancone del locale come lasciapassare per lo smercio,
vantandosi di «essere un membro benpensante e a pieno titolo dei ceti capitalisti»).
Interessante l’inserimento del personaggio femminile di Nikki, che usa il suo
corpo come scorciatoia nella vita senza che alcuna conquista riesca davvero a
soddisfarla, ma in definitiva rappresenta un’occasione mancata perché nell’ultima
parte viene lasciata in secondo piano per concentrare l’attenzione sul
quartetto delle meraviglie Sick Boy-Spud-Begbie-Renton. Il finale è formidabile
e inaspettato. Non male l’insistenza sulla fissazione dell’anal della nostra
società e la spiegazione di come l’immaginario hard sia basato sulla fantasia.
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