«Nulla
di meglio di una maschera per rivelare la vera natura di chi la porta»: proprio sul concetto di maschera ragiona questo Le sette morti di Evelyn Hardcastle,
giallo con elementi mystery che mescola Edgare Wallace, Cluedo, Downton
Abbey e Black Mirror e
immerge il lettore in una storia molto originale e perfettamente congegnata.
Tutto parte dal protagonista Aiden Bishop, che si sveglia in un bosco, non ha
memoria di sé, crede di assistere a un omicidio, vede una ragazza che scappa,
cerca una via di fuga e approda a una casa enorme e abbandonata a se stessa.
La tenuta è quella di Blackheat, e nella casa sono radunati numerosi
personaggi, invitati a una festa in maschera in onore del ritorno a casa della
figlia degli Hardcastle, Evelyn, dopo essersi trasferita a Parigi. Curiosamente,
19 anni prima, nello stesso giorno si è tenuta la stessa festa, durante la
quale è morto il figlio minore degli Hardcastle, Thomas, fatto che ha fatto
deflagrare le relazioni all’interno della famiglia e ha segnato in particolar modo Evelyn. A poco a poco Aiden comincia a capire di essere finito in un gioco più
grande di lui, fatto di intrighi e scoperte: scopre di non poter fuggire da
Blackheath e di avere otto giorni per scoprire il segreto della morte di
Evelyn, che ogni sera alle undici muore per un colpo di pistola al ventre
cadendo nel laghetto della tenuta. Se all’inizio scopre di essere nel corpo di
un medico, Aiden ogni giorno si sposta in un corpo diverso appartenente agli
ospiti della casa, vivendo dunque in prima persona gli accadimenti dello stesso
giorno fino a quando non sprofonda nel sonno: questi personaggi non sono semplici burattini che lui può muovere a piacimento,
ma veri e propri personaggi mossi da emozioni, pulsioni e traumi sempre
più difficili da gestire, che condizionano Aiden secondo il loro modo di
pensare, la loro personalità e i loro difetti fisici. Il campionario umano è
molto ben assortito: ci sono il banchiere, l’agente di polizia, il giocatore d’azzardo,
il medico spacciatore, lo stupratore seriale. Arbitro di questo gioco è un
personaggio parecchio inquietante, vestito da medico della peste, che non svela
il proprio volto; ad affiancare la sua presenza costante ci sono la misteriosa
domestica Anna, il cui nome non compare né tra gli invitati né nel personale di
servizio, e il lacchè, infallibile cecchino che minaccia di uccidere
spietatamente ognuna delle incarnazioni del protagonista. Ovviamente, la
narrazione in prima persona permette una totale identificazione con il
protagonista da parte del lettore, che ne condivide lo smarrimento, e la
questione delle varie incarnazioni è perfetta per rivivere la giornata dai
diversi punti di vista e ricostruire il background e le motivazioni di ognuno, in
una complessa rete di ricatti, verità e menzogne (e ne vengono dette molte). All’inizio
non si capisce nulla ma, stando al gioco, si viene a capo di un vero e proprio
mosaico di dettagli e indizi disseminati lungo il testo, cosa che spinge a una
rilettura per poter apprezzare molti particolari che, soprattutto all’inizio,
si sono inevitabilmente persi. Certo, qualcuno potrebbe avere problemi a non
accettare la natura irrazionale dell’indagine (anche se la ricostruzione dell’enigma
è del tutto razionale), ma Stuart Turton è capace di utilizzare il giallo per
parlare di colpa, peccato, redenzione e perdono. Un romanzo da non sottovalutare.
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