martedì 12 ottobre 2021

Emmanuel Carrère - Yoga

 

A prescindere dal mio difficile rapporto con Emmanuel Carrère, questo Yoga è un libro strano. Quello che doveva essere un saggio sullo yoga come disciplina (non un’attività ginnica trendy ma una galassia profonda che deve essere conosciuta e approfondita) è in realtà un progetto fallito perché si è ibridato con tutta una serie di avvenimenti ed esperienze personali (la morte del suo editore, il divorzio dalla moglie, la caduta nella depressione, il ricovero in un reparto psichiatrico e l’elettroshock) e di eventi della storia mondiale di questi ultimi anni (gli attentati a Charlie Hebdo e al Bataclan, i campi dei migranti in Grecia). Ne viene fuori un’opera disorganica e frammentata in equilibrio tra la serenità e la sofferenza, la vita e la morte, la realtà e la menzogna. E di menzogna si è parlato molto a proposito di questo libro perché Carrère ha sempre detto che la letteratura è un ambito nel quale non si può mentire e invece in questo caso ha cancellato la presenza della moglie durante il suo ricovero (c’era un contratto che prevedeva non si parlasse di lei), quindi lo scrittore è stato il primo a contraddire la sua stessa deontologia professionale. Aggiungiamoci poi che i due mesi di volontariato da lui descritti in un campo di accoglienza greco per rifugiati afghani erano in realtà due giorni. E così c’è gente che si è detta scandalizzata per questo tradimento (non si mente sui migranti!) e ha rivelato di aver buttato via la sua copia di Limonov. Sai che novità, come se la letteratura non mentisse mai e Carrère non avesse mai inventato o ricamato sulla sua vita trasformandola in fiction: anche in Limonov Carrère parlava di se stesso attraverso un altro, e ne Il Regno parlava di San Paolo ma in realtà parlava di San Emmanuel Carrère. In questo senso Yoga è un libro molto più onesto perché fa finalmente quello che Carrère ha cercato di fare altrove, cioè mettere in scena se stesso come protagonista della vicenda, con l’ambizioso e narcisistico fine di ottenere il pieno riconoscimento come intellettuale (colto e molto radical chic). Si tratta di autofiction a tutto tondo, un racconto interiore finalizzato più alla rappresentazione di se stessi che al superamento dei propri fantasmi (le depressione dev’essere una brutta bestia). È scritto molto bene e risulta come sempre godibile, anche se può dare sui nervi.