
Venezia, seconda metà del Cinquecento: negli anni più floridi e sfarzosi della Serenissima, il duca di Ferrandina giunge in città per partecipare ad un rinomato torneo che si svolge in campo Santo Stefano, all’epoca erboso, sull’unica striscia di selciato (il “listòn”), e gira per la città accompagnato da Pietro Aretino e Maffio Venier, quest’ultimo reo di aver accusato pubblicamente, con un celebre sonetto, la cortigiana Veronica Franco di essere la peggiore tra le prostitute. Vincitore acclamato del torneo e ammirato da uomini e dame, il duca di Ferrandina si reca al gran ballo organizzato in suo onore al casìn dei nobili di Murano, con il chiaro intento di conquistare la stessa Veronica Franco, ovunque rinomata per la straordinaria bellezza e la fine sensibilità letteraria. Una zingara appollaiata sulla riva dell’Isola di San Michele predice un omicidio, e durante il ballo, essendo già ubriaco, il duca manca di rispetto a Veronica e alla gentildonna Modesta Veniero. I due giovani che accompagnano le due signore, i nobili Marco Giustinian e Zorzi Contarini, ne prendono le difese e sguainano le spade ma un improvviso colpo di vento spegne le candele e, quando torna la luce, il duca giace morto, e ferito è anche l’amico Fantino Diedo, colpito dallo stesso duca. Giustinian e Contarini si proclamano innocenti ma vengono prontamente arrestati. La vicenda, tuttavia, è assai più complicata di quanto non appaia: i due principali sospetti, un giovane di Mantova desideroso di vendicarsi del duca che gli ha insidiato la sorella, e il fratello del duca stesso, hanno entrambi un alibi credibile, mentre emerge un altro colpevole, che ha agito per ragioni psicologiche. Saranno Veronica Franco e l’ostessa Luisa, che dirige la taverna della Cerva, l’una innamorata di Marco, l’altra di Zorzi, a indagare fino a scoprire il vero colpevole (grazie ai rispettivi servi, che si innamoreranno): loro sono le protagoniste della storia, due donne piuttosto peculiari, completamente al di fuori dei canoni femminili del loro tempo. Una nota femminista, che delinea due donne forti e indipendenti, appartenenti per lo più alla classe popolana e, per questo, più libere nel movimento, nelle esperienze e nei rapporti con la variegata società veneziana, due donne che in un mondo maschile hanno saputo trovare un proprio spazio d’azione, scegliendo uno stile di vita magari più esecrabile di facciata, ma sicuramente più interessante del destino delle ricche nobildonne, costrette dalle famiglie a un esilio dorato all’intero dei sontuosi palazzi veneziani (fatta eccezione per la nobile e inconsueta Modesta Michiel, che infatti paga con la reclusione in casa da parte del marito per la libertà che si è presa rovinando il nome della famiglia). La prima prova di Alda Monico, naturalmente veneziana, unisce storia, giallo e fantastico: nel suo romanzo, molto attento alla vita quotidiana del Cinquecento veneziano (si vedano le ricette tipiche della cucina locale, a cui è dedicata l’appendice del libro, i termini dialettali in riferimento ad abiti, pettinature e al sistema giudiziario veneziano), si vedono muoversi, tra osterie e palazzi nobili, personaggi del calibro di Tiziano, Pietro Aretino e, il meno noto, Maffio Venier. Per esempio è molto riuscita la figura della zingara malefica che viene ‘sconfitta’ da un ritratto fattole da Tiziano che, a suo giudizio, l’aveva colta nella sua anima. Ne esce un romanzo piacevole, leggero e senza troppe pretese, che riesce a inserire la passione veneziana per le ciacòle (le chiacchiere), in un contesto colloquiale, popolare, con le voci dei personaggi felicemente vicine alla cadenza veneziana.