domenica 16 marzo 2008

Matilde Asensi - L’ultimo Catone

Suor Ottavia Salina, massima autorità dell’Archivio Segreto del Vaticano in fatto di paleografia (e con un fratello frate francescano che è nientemeno che il Custode della Terra Santa), viene convocata urgentemente dalle più alte gerarchie pontificie che le affidano un compito di estrema segretezza, da cui dipende, come al solito, la salvezza della Chiesa. Naturalmente la zelante suora è l’unica persona al mondo in grado di decifrare uno strano tatuaggio – sette croci e sette lettere in greco antico che formano la parola stauros, cioè croce – inciso sul cadavere di un etiope ritrovato sui monti della Grecia. Come se non bastasse, accanto al corpo sono stati rinvenuti tre pezzetti di legno che probabilmente sono schegge della croce di Cristo (!). Affiancata dall’inflessibile Guardia Svizzera Kaspar Glauser-Röist, sgherro pronto a tutto pur di insabbiare gli scandali del Vaticano, e dall’archeologo copto Farag Boswell, la nostra paleografa finisce per indagare su una setta tanto misteriosa quanto dimenticata: gli Staurophylakes, ovvero i guardiani della Vera Croce (di cui il fantomatico Catone del titolo è il capo), incaricati nel IV secolo di vegliare sul Sacro Legno e ora fermamente intenzionati a trafugarne tutti i frammenti dalle principali chiese del mondo. Se l’idea può a questo punto essere anche divertente, lo svolgimento si fa però sempre più assurdo, e i riferimenti danteschi risultano incomprensibili, la trama si fa sempre più fantascientifica. Una sorta di caccia al tesoro delirante, saccente e strampalata, che attraversa sette città della tradizione cristiana (Roma, Ravenna, Gerusalemme, Atene, Costantinopoli, Alessandria e Antiochia) che dovrebbero rappresentare ognuna sette peccati capitali da cui purificarsi. Ecco a questo punto il colpo di genio: inserendosi nel filone oggi tanto in voga del Codice da Vinci, la Asensi ci prova con l’interpretazione esoterica della Divina Commedia, e fa del Purgatorio la chiave per superare tutte le prove che i protagonisti devono affrontare. Come Dante, a ogni prova superata, si vede eliminare dalla fronte una P, i nostri eroi si ritrovano abbelliti nel corpo da un nuovo simbolo e purgati dai peccati attraverso un cammino di purificazione alchemica. Il problema è che simili teorie possono risultare affascinanti per neofiti e sprovveduti ma sono, in realtà, vecchie come il cucco (l’idea che Dante facesse parte della setta dei Fedeli d’Amore era già di Evola), e le prove da superare ricordano molto le avventure grafiche del tipo di Monkey Island e Broken Sword: i cunicoli e le classiche catacombe (chi ormai non va nelle segrete più segrete, e che tanto segrete non sono?), rebus degni della Settimana Enigmistica, sensi di soffocamento, morti evitate chissà quante volte per un soffio. Manca anche l’inventiva, perché, nonostante il ritrovamento della romba dell’imperatore Costantino (!), il meccanismo è sempre lo stesso: a ogni prova, i nostri si ritrovano in tasca un biglietto con un indizio sulla prossima prova. Così, nella noia più totale, si giunge a un finale scadentissimo e decisamente hippy con il terzetto che raggiunge la valle felice dove i guardiani della croce hanno trovato il modo di diventare sapientissimi e intelligentissimi, oltre che di vivere per sempre contenti. La nostra Ottavia impara a guardare il mondo con occhi diversi e, non più suora e ormai libera dai voti, scopre quanto è bello l’amore carnale (può forse mancare l’immancabile storia d’amore con l’archeologo che gronda fascino da tutti i pori?). Troppa grazia. Come tutti i thriller religiosi che si rispettino, il romanzo contiene la solita dose di rivelazioni sorprendenti, in grado di cambiare la storia del mondo, e naturalmente rivelate con la stessa profondità che si usa scartando un cioccolatino; ma anche la solita concezione moralistica della Chiesa e una religiosità preconciliare, con la denuncia della condotta di vita di vescovi che predicano bene e razzolano male (del tutto inverosimile il capitano Glauser-Röist che cambia bandiera in quanto schifato dalle trame del Vaticano). Non paga, l’autrice si avventura in valutazioni pseudo sociologiche (e molto stereotipate) sulla mafia, e alla fine, giusto per completare l’opera, fa scoprire alla sua protagonista che suo padre, morto tragicamente in un incidente insieme a uno dei fratelli, era un mafioso e che la mandante è nientemeno che la madre, donna piissima e religiosissima. Esasperante la lunghezza dei capitoli (solo sette su un totale di 479 pagine), e decisamente risibile la rivelazione segreta che gli Staurophylakes commissionarono a Dante la Commedia per celare i misteri per accedere alla Vera Croce e permetterne l’accesso solo agli illuminati. In definitiva, un libro da evitare come la peste!

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