giovedì 8 maggio 2008

Arthur Conan Doyle - Le memorie di Sherlock Holmes

Seconda raccolta di racconti per la creatura di Conan Doyle, anche qui alle prese con una molteplicità di casi molto vari. Il primo è il capolavoro Silver Blaze, in cui il nostro è contattato per risolvere il caso del furto di un imbattibile purosangue avvenuta proprio alla vigilia della più importante gara di ippica d’Inghilterra, la Wessex Cup. Ovviamente, Holmes scopre dove è il cavallo e lo fa correre sotto falso nome, stupendo il proprietario solo dopo la fine della gara. Memorabili la descrizione dell’atmosfera della brughiera, la folgorante deduzione di Holmes sulla reale velocità del treno durante il viaggio che lo porta nel Devon, e il ragionamento sul ritrovamento del fiammifero nel fango e sull’importanza dell’abbaiare del cane nella notte (con la famosa battuta: “Ma… Mr Holmes, il cane non ha abbaiato” – “Ciò è esattamente quel che lo rende così importante”). Il grande investigatore invece non comprende interamente la soluzione ne La faccia gialla, il caso di un marito che sospetta la moglie perché questa gli ha chiesto cento sterline senza addurre alcuna spiegazione e si reca spesso nella casa vicina. Holmes infatti sospetta si tratti di un ricatto messo a punto dall’ex marito della donna, creduto morto, ma non sa che dietro c’è qualcosa di inaspettato, che la donna va nella casa a prendersi cura della figlia di colore, avuta dal suo primo matrimonio con un nero. Notevole che tutto il racconto, basato sulle menzogne e il silenzio, alluda a un tema come quello del razzismo. Ne L’impiegato dell’agenzia di cambio un uomo è stato contattato da una strana ditta di Birmingham che gli ha offerto un lavoro pagato molto più del normale, rispetto a un ingaggio appena avuto presso un’altra ditta. Naturalmente Holmes scopre il vero obiettivo di quella che è una truffa in piena regola: la sostituzione dell’impiegato presso il vero datore di lavoro per organizzare un furto di un milione di sterline in obbligazioni. I successivi due casi sono due racconti risalenti alla sua giovinezza del grande investigatore, che Holmes fa a Watson approfittando del pretesto di far ordine tra le sue carte : nel primo, Il Mistero della «Gloria Scott», egli racconta di quando fu invitato dall’unico amico che aveva, nella sua villa in campagna, proprietà del padre benestante. L’acutissimo Holmes, già in possesso di qualità eccezionali, da prova di un eccellente spirito d’osservazione: lo stesso uomo è in realtà in estremo pericolo, venendo ricattato da un marinaio che sa che lui è uno dei membri dell’equipaggio della nave Gloria Scott, che a suo tempo si era ammutinato e aveva affondato la nave, disperdendosi e facendo fortuna. Il secondo racconto, anch’esso risalente alla giovinezza del detective, è Il Rituale dei Musgrave, in cui Holmes è ancora ospite da un suo vecchio compagno di università, Reginald Musgrave: egli lamenta problemi col proprio maggiordomo, sorpreso nottetempo a frugare tra le carte private di famiglia, tra cui vi è anche la minuziosa descrizione dell’apparentemente inutile Rituale dei Musgrave, un vecchio rompicapo tramandato di generazione in generazione ai discendenti maschi della famiglia. A infittire il mistero, il maggiordomo scompare, e con lui anche una giovane cameriera da lui sedotta senza alcuno scrupolo. Inutile cercare nel lago che si trova nella vasta tenuta, dato che una ricerca ha restituito solo una strana serie di oggetti senza valore. L’attenzione di Holmes si concentra sul Rituale, capendo che solo risolvendone l’enigma si può giungere a capire l’intera vicenda, e ci riesce grazie all’applicazione pratica delle regole trigonometriche, facendo luce sulla reale portata degli oggetti ripescati dal lago. Troviamo Holmes ancora a casa di un amico ne L’enigma dei Reigate, dove però il nostro eroe si sta riposando in seguito a un brutto esaurimento nervoso causato dal troppo lavoro; la tranquillità è naturalmente una chimera, dal momento che egli si trova ad avere a che fare con alcuni furti che si stanno verificando nelle ville adiacenti e addirittura un morto. Scoprirà ovviamente tutto, a partire da uno stupefacente esame calligrafico e dai segni dell’impatto del proiettile: molto divertente quello che sembra un errore del grande investigatore, che in realtà sta bluffando perché il colpevole si tradisca. Ne Il caso dell’uomo deforme, Holmes si precipita di notte a casa del suo amico Watson e, dopo una serie di mirabolanti deduzioni, lo trascina ad Aldershot per la conclusione di un caso a suo parere molto intrigante: un colonnello è stato infatti ritrovato col cranio fracassato dopo un alterco con sua moglie che, da quel momento, è in stato di shock. Naturalmente, è lei ad essere messa sotto accusa, ma una serie di elementi non tornano (la coppia non ha mai litigato prima, la stanza è chiusa dal di dentro), e sono inoltre presenti una serie di piccoli indizi, tra cui le tracce di un piccolo animale, e la testimonianza di un’amica che dice di aver visto la donna parlare con un uomo deforme, che fanno ritenere a Holmes che le cose sono andate in ben altro modo. Infatti, sulla storia gravano ombre di vicende passate, dovute alla gelosia e risalenti all’India. La citazione finale del re Davide, giustiziere di Uria l’Ittita per impossessarsi della sua sposa  Betsabea, pone un sigillo morale e religioso all’intera vicenda, e sottolinea la concezione rigorosa di Holmes. Il paziente interno vede un giovane medico che si presenta a Baker Street raccontando lo strano caso di un mecenate che è stato trovato impiccato e che, tempo prima, lo ha aiutato allestendogli uno splendido ambulatorio, a patto di poter vivere da lui come paziente fisso. Indizi che apparentemente non dicono niente (della polvere, qualche fibra, un po’ di cenere), per Holmes sono decisivi, tanto da permettergli di ricostruire ciò che è esattamente accaduto e a svelare gli antefatti della vicenda: purtroppo, però, i colpevoli (una banda di ladri di cui faceva parte lo stesso uomo fintosi poi mecenate per sfuggire alla loro vendetta) riescono a sfuggire alla giustizia umana, prima di finire dispersi in mare. L’Interprete greco è un’avventura resa straordinaria dalla comparsa, per la prima volta, del fratello maggiore di Sherlock Holmes, Mycroft, Dotato di capacità logico-deduttive pari, se non addirittura superiori, a quelle del fratello. È un personaggio singolare, che trascorre le sue giornate al Diogene’s Club, un eccentrico ritrovo di misantropi, al cui interno è persino proibito parlare. Straordinaria è l’iperbolica serie di deduzioni a catena in cui si lanciano i due fratelli durante il loro incontro alla semplice osservazione di un uomo dalla finestra, lasciando a bocca aperta il dottor Watson, e insieme a lui il lettore. Abitudinario, flemmatico e inglese fin nel midollo, Mycroft ha per le mani un sordido caso molto stimolante ma è troppo pigro per affrontarlo direttamente, e per questo coinvolge il fratello Sherlock: un noto interprete greco di Londra è stato assoldato con l’inganno e la forza da due delinquenti per tradurre le parole di un uomo che viene costantemente torturato, per estorcergli una confessione. Gli sforzi dei fratelli Holmes non bastano purtroppo a salvare lo sventurato, ma almeno servono a strappare il disgraziato interprete dal tentativo di omicidio di cui è vittima. Anche questa storia si chiude con la fuga dei criminali in Europa e la notizia della loro morte a Budapest: è l’ennesimo caso in cui la giustizia divina interviene per punire i colpevoli. Il trattato navale riguarda il trafugamento (a spese di un amico di Watson) di un importante trattato segreto tra la Gran Bretagna e l’Italia (!) e la possibilità di una crisi navale nel Mediterraneo in funzione antifrancese. La cosa che lascia stupefatti è l’assoluta leggerezza con cui si comportano i funzionari governativi, che lasciano documenti segreti assolutamente incustoditi (pazzesco poi che chiunque riesca a entrare nel cuore di un ministero inglese e andarsene del tutto indisturbato). Celeberrimo l’episodio di Holmes che si interrompe osservando una rosa e si lascia andare a una serie di pensieri sulla sua bellezza e sulla meraviglia che lo prende di fronte alla generosità degli aspetti più belli della vita. Altrettanto singolare il finale, in cui emerge l’umorismo eccessivo e la passione per la messinscena del grande investigatore, che fa ritrovare il trattato in un piatto durante la colazione. Si arriva così a L’avventura finale, episodio in cui Conan Doyle, convinto che le avventure di Holmes identificassero il suo lavoro di scrittore solo per il personaggio da lui inventato, si convinse a uccidere il suo eroe contrapponendogli un personaggio di eguale spessore: il professor Moriarty, il Napoleone del Crimine, capo della malavita e autore di tutti i delitti impuniti di Londra. Lo stesso Holmes ripete più volte che è disposto a morire, se ciò deve rappresentare l’unica maniera per dar fine alle diaboliche iniziative di Moriarty. Lo stesso Moriarty si reca un giorno a Baker Street, in un confronto memorabile in cui i due antagonisti si scambiano il loro rispetto reciproco (anche se Holmes ammette di essere stato felice di aver avuto il revolver tra le mani). Da parte loro, gli sgherri del professore non perdono tempo, attentando ripetutamente alla vita dell’investigatore, il quale rischia di essere travolto da una carrozza guidata da due cavalli ed è poi attaccato da un manigoldo che lo lascia a terra ferito. Holmes decide così di affrontare un viaggio nel cuore dell’Europa, in compagnia del fido Watson, per non intralciare le operazioni di polizia. Ma il perfido e tenace professore arriva al punto di noleggiare un treno speciale per inseguire i due, i quali riescono temporaneamente a far perdere le loro tracce e a riparare nelle valli svizzere, fino alle cascate di Reichenbach. Purtroppo, arrivati a questo punto, Watson viene distratto da un diversivo e si allontana, salvo poi rendersi conto del raggiro e tornare sul luogo, ritrovando un biglietto (scritto dallo stesso Holmes) che gli narra come i due antagonisti sono stati finalmente faccia a faccia per lo scontro finale: tutto lascia pensare che siano caduti nelle cascati trovando la morte. Holmes si distingue ancora per i suoi travestimenti (questa volta, il ruolo da lui interpretato in quest’ultimo caso è quello di un  anziano prete italiano, con naso finto e parrucca), e la storia in sé è molto suggestiva, rivelando come Moriarty poteva essere un grande personaggio come nemesi malvagia di Holmes: purtroppo Conan Doyle si limitò a utilizzarlo per liberarsi di Holmes e avere maggior successo come autore di altre opere (finendo però costretto, dopo alcuni anni, a “resuscitare” la sua creatura più famosa, obbligato dal suo editore e dalle richieste degli appassionati lettori, i quali in seguito alla sua presunta morte si erano presentati al lavoro con il lutto al braccio).

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