lunedì 16 giugno 2008

Valerio Pignatelli - Il dragone di Buonaparte

È bene precisare che questo libro è ormai fuori catalogo da più di quarant’anni, facendo parte di quella fantastica serie di romanzi avventurosi pubblicati dalla Sonzogno negli anni Sessanta. L’autore è il principe Valerio Pignatelli, personaggio dalla vita quanto mai avventurosa e burrascosa, militante fascista e romanziere all’occorrenza. Egli racconta le vicende di un suo avo, Andrea Pignatelli, dragone durante la campagna d’Italia di Napoleone e la Francia del Direttorio (siamo nel 1796), personaggio cavalleresco e galante, furbo e signorile, che prima si inimica gli alti gradi dell’esercito per le sue famose “passeggiate” con nemici della guarnigione che poi sfida a duello, e poi si redime andando a recuperare un dispaccio da un corriere assalito dagli austriaci. Aiutato unicamente da due amici americani, Pignatelli tiene testa a uno squadrone di austriaci da una casupola, quindi compie un’appassionante galoppata di centinaia di miglia per consegnare il dispaccio a Napoleone (da lui chiamato “Buonaparte” invece che “Bonaparte”, per sottolineare orgogliosamente le sue origini italiane), riconquistandone la fiducia. A questo punto finisce la prima parte ambientata sul campo di battaglia e dominata dalla rivalità tra dragoni e ussari, e comincia la seconda parte dominata dagli intrighi politici e ambientata a Parigi, dove Pignatelli finisce come accompagnatore di Murat per conferire con il Direttorio (compito gradito, dal momento che il nostro è devoto di Florise Sorel, la pupilla di Giuseppina Bonaparte). A Parigi, l’astuto politico Fouché (interessato a liberarsi di un pericoloso rivale) svela l’ubicazione della casa del generale Danican, con cui Pignatelli ha una vecchia rivalità (da qui si capisce che questo non è che uno dei capitoli di una vera e propria saga con protagonista Andrea Pignatelli, perché le ragioni di questa rivalità sono solo accennate se non taciute). Scopriamo che Danican sta ordendo un complotto volto a restaurare la monarchia, con la complicità del principale leader del Direttorio, Barras (ecco il motivo dell’interesse di Fouché), le cui prove sono contenute in documenti compromettenti: proprio questi deve rubare Pignatelli, che ha modo di esibire tutta la sua astuzia e abilità anche come ladro. Non solo: Danican vuole anche portare con sé all’estero Florise Sorel. Ovvio il confronto tra i due in casa dello stesso Danican, che si conclude in modo piuttosto bizzarro (Pignatelli conquista la congiurata Theresia Tallien, amante di Barras). Appassionata e retorica la difesa di Napoleone, con cui Pignatelli non solo condivide vicinanza di sentimenti (la casa di Giuseppina): nella visione di Pignatelli, l’Italia non può che lottare insieme a un conterraneo (Napoleone è corso) che combatte perché il Paese sia, dalle Alpi alla Sicilia, un’unica repubblica libera e indipendente. Una logica forse un po’ ingenua, che però va ricondotta all’ideologia dell’autore, che come scrittore non è affatto male, anzi, brilla per capacità narrativa e una prosa raffinata e ricercata. Niente di clamoroso, ma tutto abbastanza godibile.

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