
Stimolato dalla visione della serie televisiva The Tudors, mi sono lanciato nella lettura di questa biografia del grande sovrano Enrico VIII, che regnò sull’Inghilterra tra il 1509 e il 1547. Fortunatamente l’autrice intende dare un’immagine diversa dagli stereotipi classici (tanto cari al cinema) del satiro tronfio e triviale con cosciotto di pollo in mano, che decapitava le mogli che non gli andavano più a genio (in realtà ne fece decapitare solo due). Piuttosto, Enrico era dotato di un finissimo intelletto e di una profonda erudizione scolastica che ne fecero ardente e vigoroso polemista, tanto da occuparsi personalmente di teologia (polemizzò personalmente con Lutero arrivando a insultarlo). Incredibile compagnone, era capace di fare a palle di neve con gli altri nobili; amante della musica e della poesia, autore lui stesosi di poesie e ballate, era un provetto ballerino tanto da danzare appassionatamente per ore; instancabile atleta e cacciatore, era cavaliere e duellatore ai tornei. Enrico VIII racchiudeva in sé il paradosso di essere portato istintivamente alla moda e alle arti rinascimentali e contemporaneamente ai valori medievali della cavalleria che gli umanisti invece aborrivano. Questo lo portò a inseguire per tutta la vita il sogno di dare battaglia agli odiati francesi: una fissazione anche al di là della realtà storica, perché ormai il centro dell’agone politico e bellico era l’Italia, terra di confronto tra Impero e Francia. Imparò dalla nonna a essere diffidente delle donne forti e dal padre a confondere l’uso e l’abuso del potere (il padre era spesso affetto da manie e malumori, se non da ire improvvise), oltre che l’amore per i divertimenti stravaganti, i buffoni e le creature circensi. Evento fondamentale della sua vita, la rottura con la Chiesa di Roma per la volontà di annullare il suo matrimonio con Caterina d’Aragona e sposare Anna Bolena. È probabile che Enrico credesse alle voci secondo cui il suo matrimonio con Caterina era maledetto perché in qualche modo incestuoso (Caterina aveva sposato in prime nozze il fratello di lui, Arturo, morto poco dopo), anzi, che ne fosse addirittura ossessionato. Non per niente continuò a stufarsi delle sue mogli (eccezion fatta per Jane Seymour, che morì di malattia) per la loro difficoltà di assicurargli una discendenza maschile. Egli negò dunque l’autorità del papa con un atto del parlamento (l’Atto di supremazia) che fece di lui, in quanto sovrano, il capo supremo della Chiesa inglese. Questa decisione, che portò alle condanne a morte del vescovo Fisher e dell’umanista Tommaso Moro (che pure era amico personale di Enrico), fu accettata con sorprendente condiscendenza dai Comuni, che poterono depredare le ricchezze ecclesiastiche e non pagare più le decime a Roma. Non bisogna dimenticare che il re, sobillato dal suo guardasigilli protestante Thomas Cromwell, comminò la tortura e l’impiccagione di moltissimi monaci, e la distruzione di monasteri e conventi. Anche nella violenza e nelle sanguinose repressioni si rivela un temperamento terribilmente competitivo che rendeva Enrico impegnato continuamente a misurarsi con gli altri sovrani, dal canto loro impegnati a sopprimere luterani e protestanti. Costretto ad affrontare la ribellione nel nord del paese, sobillata dai nobili che erano contrari al suo crescente potere autoritario, gradualmente il re si trasformò da figura luminosa e affascinante in un tiranno sempre più eccentrico e incupito, malfidente e timoroso: per il popolo divenne “il Talpone”, l’oscuro antieroe il cui avvento era stato predetto da Merlino secoli prima, colui che, rovinato dal peccato e dall’orgoglio, avrebbe trascinato nella rovina il suo regno. La Erickson è abile a descrivere le lotte politiche della corte inglese ma ha il pregio di risultare sempre leggera e comprensibile, raccontando curiosi particolari sulla vita del tempo, come quando parla delle pulci che affliggevano gli uomini dell’epoca (la gente teneva fascine di rami di gelso sotto il letto per tenerle lontane durante la notte, mentre il re Enrico VII girava di giorno con un ritaglio di pelliccia sotto la veste per attirare i parassiti tutti in un unico punto) o di malattie terribili come il sudore anglico (una malattia polmonare che colpiva senza preavviso e degenerava in maniera fulminante). Un mondo duro e difficile nel quale le conoscenze scientifiche lasciavano molto a desiderare (la regina Elisabetta, madre di Enrico, fu mandata a partorire negli appartamenti freddi e angusti della Torre di Londra, col risultato che ci rimise le penne). Molto bizzarra la descrizione della vita di corte, con banchetti da mille/millecinquecento persone, perfino fannulloni e vagabondi, cani e animali che si azzuffavano, oltre nobili che invitavano i loro amici e parenti e approfittavano in maniera oltraggiosa dell’ospitalità del re, portando con sé nei propri alloggi falconi e furetti, svuotando cucine e cantine, portando via tavole, panche e persino le serrature delle porte. Impagabile poi l’episodio dei sei gentiluomini che, educati alle abitudini acquisite in Francia, dove ogni giorno si erano divertiti a scorrazzare in compagnia del re Francesco I per le vie di Parigi tirando uova, sassi e quant’altro capitava addosso ai sudditi (!), rivolgendosi troppo cordialmente al re furono accusati di eccessiva esuberanza e di aver dimenticato quel deferente distacco che si doveva nei confronti del sovrano inglese.