martedì 24 marzo 2009

Andrew Davidson - Gargoyle

Un libro strano questo Gargoyle che mi ha lasciato perplesso, ambizioso nel mescolare generi e narrazioni diverse e per nulla banale per le tematiche affrontate, macchiato però da alcuni difetti che ne rendono davvero pesante e ostica la lettura. Narrato tutto in prima persona, si apre con la descrizione dell’incidente automobilistico che costringe il protagonista (il cui nome non ci è mai dato sapere) a essere un ustionato per tutta la vita. Veniamo a sapere i dettagli di una vita per nulla esaltante (suo padre non ha mai saputo chi fosse, sua madre è morta alla sua nascita, è stato allevato dalla nonna fino alla morte di questa, quindi si è ritrovato a vivere con degli zii tossicodipendenti che non si sono mai interessati a lui, poi si è ritrovato in un istituto), culminata in una sfavillante carriera come attore e regista porno (cocainomane e bastardo). Ora che non può più in alcun modo fare affidamento sul suo corpo, il nostro eroe attende in solitudine, senza nessun amico, il giorno in cui sarà abbastanza forte da alzarsi dal letto e uccidersi. Questo fino all’entrata in scena della protagonista femminile, certa Marianne Engels, che si pone al capezzale del nostro come se la loro fosse una conoscenza di vecchia data, addirittura di secoli. Si tratta di una scultrice di gargoyle di pietra che usa lo stesso metodo di Michelangelo (“liberando” cioè la forma che c’è dentro il blocco di pietra), che è già stata una paziente del reparto psichiatrico dello stesso ospedale, probabilmente affetta da schizofrenia: torna anche nei giorni successivi e, oltre a leggergli l’Inferno di Dante, gli racconta ciò che lei dice essere stata la loro prima storia d’amore, avvenuta nella Germania del XIII secolo, quando lei era una suora amanuense e lui un mercenario gravemente ferito di cui si era presa cura e che aveva aiutato a guarire. La narrazione procede in maniera sconnessa, alternando la prima persona di lui nel presente e la prima persona di lei nel passato, oltre ad altre storie d’amore del passato a esito tragico (un fabbro che si uccide dopo la morte per peste della sua amata; una donna che aspetta sulla scogliera il ritorno dell’amato scomparso in mare da molto tempo; una giapponese che, pur di non sposare un signorotto e tradire così il suo vero amore e suo padre, decide di prendere il voto del silenzio e accetta di farsi seppellire viva pur di non infrangerlo; un guerriero vichingo innamorato di un amico che, nonostante finisca massacrato di botte da quest’ultimo, gli salva il figlio da un incendio). Nel presente, lui esce dall’ospedale e va a vivere a casa di lei (una specie di castello pieno di opere plastiche), nel passato i due cercano di farsi una nuova vita fino al momento in cui devono scappare per fuggire dai soldati che sono sulle tracce di lui in quanto disertore (e la storia non può che avere un esito tragico). Nel finale, si assiste a una sorta di nuova sovrapposizione delle esperienze di morte apparente dei due protagonisti: lui, vittima di una crisi di morfina, è preda di un trip mentale nel quale incontra i personaggi delle storie ascoltate per poi attraversare l’Inferno di Dante; lei, nel XIII secolo, incontra i santi che hanno abitato il suo monastero di Engelthal che le promettono di vivere tante vite grazie a molti cuori, fino all’ultimo da offrire al suo amore. E così tutti i fili della narrazione vengono riannodati, a patto di stare al gioco. Lo stile non è particolarmente raffinato («Non riesco a credere in Dio più di quanto riesca a credere che una scimmia invisibile viva nel mio sedere») e i punti evitabili sono molti (e qui mi domando perché un editor non abbia pensato a ridurli), a partire da lunghe descrizioni sulle cure e sui trapianti di pelle o da amene banalità come la trovata della “serpetroia” che vive nella colonna vertebrale del protagonista, ma il libro ha comunque delle buone carte da giocare, come il senso salvifico della narrazione e dell’arte, o le ragioni di una vita apparentemente senza senso nobilitata dall’amore. Ma da qui a farne un caso letterario ce ne corre. Una curiosità: alla fine di ogni capitolo c’è una lettera in gotico che va a formare la frase in tedesco “Forte come la morte è  l’amore”.

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