venerdì 24 aprile 2009

Rafael Sabatini - Scaramouche

Non ci credevo davvero più. Ho passato anni aspettando di trovare Scaramouche, pubblicato a suo tempo dalla mitica Romantica Sonzogno ma ormai fuori catalogo da tempo immemorabile, ed ecco che ora a sorpresa me lo ritrovo a disposizione grazie alla Donzelli (cui non sarò mai abbastanza grato), cosa sorprendente se si considera che un romanzo del genere oggi non ha mercato né appeal commerciale (ed è scandaloso che in Italia nessuno si sia mai preoccupato di non dico celebrare ma semplicemente ricordare Rafael Sabatini che tra l’altro è nato a Jesi da padre italiano!). È bene premettere che io sono uno spassionato fan dell’omonimo film del 1952 con Stewart Granger, che mi ha stregato fin dalla più tenera infanzia e ha infuso in me, assieme a I tre moschettieri di Dumas, l’amore per il genere cappa e spada e il romanzo storico in generale. A ben vedere, però, pur rispettandone le linee guida, il film è piuttosto diverso dal romanzo (e manca anche la mitica massima del film «La spada è come una rondine, se la stringi con forza la soffochi, se allenti la presa, vola via»), che comincia in Bretagna negli ultimi anni dell’Ancient Régime: il protagonista si chiama André-Louis Moreau e, diversamente da Stewart Granger, non è bello, anzi, è piccolo e magro, cinico ed esibizionista. Ha studiato da avvocato a Parigi ed è un ottimo retore; ha un amico, Philippe de Valmorin, che studia da prete ed è un convinto idealista, e disputa con lui e i suoi amici sulla necessità di una rivoluzione, dimostrando di non crederci troppo per la sfiducia che nutre nei confronti dell’animo umano. Quando l’amico viene ucciso a causa delle sue idee dal malvagio marchese de La Tour d’Azyr, convinto assertore del privilegio per nascita e che per questo, infastidito dalle sue pericolose idee e la sua eloquenza, lo provoca a sfidarlo a duello. Da bravo avvocato, André cerca di far valere i principi del diritto, ma nulla può contro la cieca omertà dei difensori del privilegio, e si trova per questo coinvolto, suo malgrado, nel meccanismo di rivolta a Rennes e a Nantes: finisce per farsi tribuno e diventare un rivoluzionario, e si attira addosso la giustizia e che lui ha cercato di far trionfare e la legge che ha osato sfidare. Reietto e abbondato da tutti (e soprattutto dal suo padrino/protettore), trova rifugio in una compagnia di guitti che si dicono attori della commedia dell’arte italiana (che si chiamano tra loro con il nome del personaggio interpretato), e ben presto finisce per indossare i panni di Scaramouche, maschera del soldato fanfarone, astuto e subdolo. Non solo: di fronte alla sciatteria dei copioni della sgangherata compagnia, André diventa autore e portavoce di un teatro più colto e maturo, che fonde il canovaccio della commedia dell’arte con le trame di Molière, Beaumarchais e Plauto, e strizza l’occhio ai nuovi ideali del Terzo Stato (reinventa spettacoli dai titoli “Le furberie di Scaramouche”, “Figaro-Scaramouche”, “Il terribile capitano”). Purtroppo, anche in questo caso, il nostro eroe continua a trovarsi di fronte La Tour d’Azyr, invaghito della figlia del capocomico Binet che André dovrebbe sposare (diciamo che padre e figlia non ci fanno esattamente una gran figura e mettono in campo ogni possibile bassezza dettata dall’arrivismo e dalla cupidigia). Dopo aver scatenato una rissa per vendicarsi allo stesso tempo del marchese e del volgare Binet, André arriva nella Parigi prerivoluzionaria e diviene inserviente e allievo di una scuola di scherma: grazie alla sua innata abilità, e soprattutto grazie al suo talento di studioso e di erudito nell’apprendere i tomi del sapere, riesce a impossessarsi dei segreti dell’arte della spada, e supera il suo maestro, sostituendolo. Diventa talmente bravo da essere coinvolto nel giro politico che conta, conosce Marat e viene inserito nell’Assemblea costituente come spada pronta a difendere il Terzo Stato dagli assalti e dalle provocazioni dei ceti privilegiati, di cui fa parte La Tour d’Azyr, anch’egli membro dell’Assemblea, che infatti André sfida e ferisce in combattimento. La storia non è finita: bisognerà prima vedere l’esito della storia d’amore con la bella e pura Aline, promessa sposa a La Tour d’Azyr, e scoprire i veri natali del nostro  eroe. La grandezza di Sabatini sta non solo nel ritmo infuso alla narrazione, ai colpi di scena e all’assoluta convinzione nelle regole del genere, ma soprattutto nella costruzione del romanzo, che è diviso in tre parti – La togaIl coturnoLa spada – assolutamente funzionali allo sviluppo dell’opera: il protagonista passa attraverso varie carriere (da avvocato ad attore, da attore a spadaccino, quindi a politico) facendo tesoro delle esperienze precedenti, e a ogni stadio corrispondono delle (amare) riflessioni sull’animo umano e sulla società (Sabatini non sembra credere nella sacralità della Rivoluzione, anzi, sembra dirci che tutti hanno le loro ragioni). Per questo la parte centrale, quella del teatro, è la più importante: sta in mezzo e rappresenta, a livello metaforico, quel cambiamento reale nella politica che riuscirà nella terza parte e che sovvertirà l’ordine precostituito (e non è un caso che André riconosca che, sulla scena politica, egli recita ancora il ruolo di Scaramouche). Il protagonista recita sempre, e anche i nomi che egli prende a seconda delle circostanze ne sono prova: si ribattezza «Omnes Omnibus» parlando al popolo di Rennes, «Parvissimus» e quindi «Scaramouche» nel mondo teatrale, e solo in politica egli ridiventa André-Louis Moreau, per scoprire poi il suo vero lignaggio. La vita è un palcoscenico e noi ne siamo gli attori: una morale che ben si azzecca a questo romanzo ben poco Rivoluzionario e che si esplica benissimo sin dal formidabile incipit «Era nato con il dono della risata e la sensazione che il mondo fosse pazzo», e che arriva con straordinaria coerenza fino al finale in cui la madre ritrovata dice ad André che ci sono cose che lui non capirà mai, e lui risponde laconicamente che non capirà mai «la vita, tanto per cominciare».

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