
È bene precisare subito una cosa: questo romanzo si basa sull’universo del celeberrimo e fondamerntale gioco di ruolo Dungeons & Dragons, negli ultimi tempi fonte di ispirazione per canzoni e videogiochi. Anzi, è addirittura il primo capitolo della “Trilogia delle Terre Perdute” di R.A. Salvatore, giocatore di ruolo prestato alla letteratura, creatore del tormentato personaggio di Drizzt Do’Urden, drow (cioè elfo oscuro) rinnegato e fuggito dal suo regno sotterraneo, la città di Menzoberranzan: infatti Drizzt è onesto e capace di provare fraterni sentimenti di amicizia, e ha in spregio la negromanzia e la propensione alle stragi del suo popolo. Ovviamente, per un drow vivere in superficie non è una cosa facile, quindi il nostro si è rifugiato sulle montagne della Spina Dorsale del Mondo, nella Valle del Vento Ghiacciato (la Icewind Dale), dove svolge una funzione simile a quella di una vedetta, sfruttando la sua abilità nel combattimento (è invincibile nell’uso delle due scimitarre) e l’evocazione di un suo magico amico, la pantera Guenhwyvar, di cui conserva un’effige fatta di onice che serve per evocarla da una differente dimensione. Drizzt si accompagna a un suo amico nano, il possente Bruenor Martello di Guerra, alla perenne ricerca della sua patria perduta, Mithril Hall: questi ha allevato una ragazza umana, Cattie-Brie, e per giunta adotta un giovane barbaro della tundra preso prigioniero, Wulfgar, al quale insegna a lavorare il metallo e lo affida alle cure belliche dell’amico Drizzt. Gli dona anche un magico artefatto, Aegis-Fang, un martello da guerra invincibile. C’è poi Regis, un pigro e agiato halfling (razza assimilabile agli hobbit con un nome diverso per problemi di copyright, che qui viene orribilmente tradotto con il termine “nanerottolo”) in possesso di una pietra magica capace di persuadere colui che la fissa. I nostri eroi si ritrovano a combattere contro uno stregone sfigatissimo e incapace, Akar Kessell, che ha ritrovato la potente reliquia senziente Crenshinibon, abbandonata per errore fra le nevi delle montagne del nord, e rivendicata anche dal demone Errtu (che a un certo punto finisce addirittura reclutato nell’esercito dello stregone come generale di orchi e folletti). Naturalmente, l’impresa verrà resa più complicata dall’ottusità dei leader delle Ten Towns, baluardo della civilizzazione in queste terre inospitali. La narrazione segue i percorsi separati e paralleli di ciascun componente della compagnia (da sottolineare l’uccisione di un drago da parte di Wulfgar e Drizzt, e il combattimento fra Drizzt ed Errtu) e non risparmia certo l’azione, peccato che lo stile appaia parecchio ingenuo, immaturo e del tutto privo di originalità. La mitica Mithril Hall si colloca a metà strada tra la Moria di Tolkien e la Tanelorn di Moorcock, Bruenor assomiglia molto al nano Gimli del Signore degli Anelli, la stessa torre del perfido mago viene chiamata “Crishal Tirith”, una specie di ibrido tra “Crystal” (cristallo) e la parola usata da Tolkien per definire le torri. Pare che Salvatore intendesse fare di Wulfgar l’eroe della saga, ma il barbaro non ne ha né la caratura né lo spessore, e finisce per assomigliare a una pallida imitazione di Conan il cimmero: di gran lunga meglio Drizzt. Bella comunque l’imprecazione «che i pidocchi di mille renne possano annidarsi nei tuoi genitali».