
Contrariamente a quanto comunemente si pensa (cioè che i romanzi naturalisti francesi siano dei mattoni noiosissimi), Bel-Ami di Maupassant ha veramente tutto: un mix letale di sangue, sesso e denaro, corredato da un’atmosfera veramente lugubre e sinistra. È la storia di un arrampicatore sociale, Georges Duroy, mezzo contadino e mezzo soldato, provinciale e ignorante, «tasche vuote e sangue ardente». Impiegatuccio delle Ferrovie, solo, squattrinato e roso dall’invidia per i ricchi che vede passeggiare, una sera incontra per strada un suo vecchio commilitone, che dopo il congedo è diventato giornalista ed è ora caporedattore politico de La Vie Française. Questi gli propone di intraprendere la carriera del giornalismo e alla sua obiezione di non aver mai scritto una riga in vita sua, risponde, come ogni buon giornalista che si rispetti, «Bah! Si può sempre tentare, cominciare. […] Non è mica difficile farsi passare per uno che sa, ti dico: si tratta solo di non farsi cogliere in flagrante delitto d’ignoranza». Lo introduce quindi nel suo giornale, lo sfrutta, lo maltratta e lo disprezza, e Georges comincia a prendere le misure di un mondo miserabile, fatto di intrigo, maldicenza, corruzione e menzogna (memorabile il cronista che, mandato a fare un’intervista, spiega come riciclare vecchi pezzi sapendo semplicemente cosa far dire ai diretti interessati). Uomo brutale e ipocrita, Georges ruba la moglie all’amico morente e diventa in breve una star del giornalismo, soprattutto grazie alla sua influenza sulle donne, escluse dalla vita politica ma operanti nell’ombra, come consigliere ed educatrici di uomini potenti. Anzi, il romanzo è un vero catalogo di donne: la sensuale e appassionata Clotilde de Marelle, amante ideale, quindi l’astuta Madelaine Forestier, poi moglie ripudiata, infine la ricchissima madame Valtere, la quale si inoltra nella follia per lasciar posto alla figlia Suzanne Walter, un’ereditiera adolescente che è l’ultimo trofeo di Georges e dunque il suggello della sua ascesa sociale (lo stesso titolo Bel-Ami fa riferimento al soprannome che la figlia di Clotilde dà a Georges all’inizio del romanzo e che viene poi utilizzato anche dalle altre donne che diventano sue amanti). Passando sul corpo di tutte le donne che seduce, di volta in volta egli le trasforma, dopo averle annientate, in altrettante rampe di lancio. Intenzionato a ritrarre dal vero la società della borghesia affarista della Terza Repubblica francese, in maniera spietata e crudele, quasi augurandosene la fine, Maupassant descrive le gesta di un eroe totalmente negativo (decorato tra l’altro con la Legion d’onore), che applica la legge della giungla per realizzare il suo grande scopo, una lotta per la sopravvivenza nell’ottica del successo: in tempi come i nostri, un tema quanto mai attuale e quindi senza tempo. A nulla gli servono gli avvisi o i richiami alla riflessione, come dimostrano le scene della morte di tubercolosi dell’ex compagno d’armi (e ora odiato caporedattore) e la conversazione con un vecchio poeta all’uscita di casa dopo una cena, con questo che gli svela la vita gli mostra l’inevitabile esito della morte. L’obiettivo di Georges è arrivare, farcela, soggiogare tutto e tutti, avere potere e denaro: completamente venduto ai meccanismi della società in cui vive, ambisce addirittura alla perfezione aristocratica, tanto da cambiarsi il cognome in “du Roy”. In questo senso, la scena del suo matrimonio trionfale, benedetto da un vescovo e considerato da tutti i partecipanti un atto lodevole e del tutto naturale, è agghiacciante: Georges, un parvenu che usa donne e contatti per le sue speculazioni finanziarie e che riesce a incastrare perfino il ministro degli esteri incastrandolo per adulterio, giunge alla completa apoteosi restando del tutto impunito. Una conclusione ancor più efficace di una normale (e moraleggiante) caduta in disgrazia.