martedì 14 settembre 2010

Guy de Maupassant - Bel-Ami

Contrariamente a quanto comunemente si pensa (cioè che i romanzi naturalisti francesi siano dei mattoni noiosissimi), Bel-Ami di Maupassant ha veramente tutto: un mix letale di sangue, sesso e denaro, corredato da un’atmosfera veramente lugubre e sinistra. È la storia di un arrampicatore sociale, Georges Duroy, mezzo contadino e mezzo soldato, provinciale e ignorante, «tasche vuote e sangue ardente». Impiegatuccio delle Ferrovie, solo, squattrinato e roso dall’invidia per i ricchi che vede passeggiare, una sera incontra per strada un suo vecchio commilitone, che dopo il congedo è diventato giornalista ed è ora caporedattore politico de La Vie Française. Questi gli propone di intraprendere la carriera del giornalismo e alla sua obiezione di non aver mai scritto una riga in vita sua, risponde, come ogni buon giornalista che si rispetti, «Bah! Si può sempre tentare, cominciare. […] Non è mica difficile farsi passare per uno che sa, ti dico: si tratta solo di non farsi cogliere in flagrante delitto d’ignoranza». Lo introduce quindi nel suo giornale, lo sfrutta, lo maltratta e lo disprezza, e Georges comincia a prendere le misure di un mondo miserabile, fatto di intrigo, maldicenza, corruzione e menzogna (memorabile il cronista che, mandato a fare un’intervista, spiega come riciclare vecchi pezzi sapendo semplicemente cosa far dire ai diretti interessati). Uomo brutale e ipocrita, Georges ruba la moglie all’amico morente e diventa in breve una star del giornalismo, soprattutto grazie alla sua influenza sulle donne, escluse dalla vita politica ma operanti nell’ombra, come consigliere ed educatrici di uomini potenti. Anzi, il romanzo è un vero catalogo di donne: la sensuale e appassionata Clotilde de Marelle, amante ideale, quindi l’astuta Madelaine Forestier, poi moglie ripudiata, infine la ricchissima madame Valtere, la quale si inoltra nella follia per lasciar posto alla figlia Suzanne Walter, un’ereditiera adolescente che è l’ultimo trofeo di Georges e dunque il suggello della sua ascesa sociale (lo stesso titolo Bel-Ami fa riferimento al soprannome che la figlia di Clotilde dà a Georges all’inizio del romanzo e che viene poi utilizzato anche dalle altre donne che diventano sue amanti). Passando sul corpo di tutte le donne che seduce, di volta in volta egli le trasforma, dopo averle annientate, in altrettante rampe di lancio. Intenzionato a ritrarre dal vero la società della borghesia affarista della Terza Repubblica francese, in maniera spietata e crudele, quasi augurandosene la fine, Maupassant descrive le gesta di un eroe totalmente negativo (decorato tra l’altro con la Legion d’onore), che applica la legge della giungla per realizzare il suo grande scopo, una lotta per la sopravvivenza nell’ottica del successo: in tempi come i nostri, un tema quanto mai attuale e quindi senza tempo. A nulla gli servono gli avvisi o i richiami alla riflessione, come dimostrano le scene della morte di tubercolosi dell’ex compagno d’armi (e ora odiato caporedattore) e la conversazione con un vecchio poeta all’uscita di casa dopo una cena, con questo che gli svela la vita gli mostra l’inevitabile esito della morte. L’obiettivo di Georges è arrivare, farcela, soggiogare tutto e tutti, avere potere e denaro: completamente venduto ai meccanismi della società in cui vive, ambisce addirittura alla perfezione aristocratica, tanto da cambiarsi il cognome in “du Roy”. In questo senso, la scena del suo matrimonio trionfale, benedetto da un vescovo e considerato da tutti i partecipanti un atto lodevole e del tutto naturale, è agghiacciante: Georges, un parvenu che usa donne e contatti per le sue speculazioni finanziarie e che riesce a incastrare perfino il ministro degli esteri incastrandolo per adulterio, giunge alla completa apoteosi restando del tutto impunito. Una conclusione ancor più efficace di una normale (e moraleggiante) caduta in disgrazia.

Stephenie Meyer - Twilight

Non sono un twihard o un twilighter (nome con cui si identificano i fan di Twilight), anzi, ho sempre guardato con un mix di scetticismo e disgusto all’esorbitante successo della saga scritta da Stephenie Meyer incentrata sull’amore tra il vampiro Edward e la mortale Bella (per la cronaca, per chi non ne fosse sazio è appena uscita anche la graphic novel) e capostipite di tutto un nuovo filone vampiresco che inonda di voluminosi romanzi-fotocopia le librerie di tutto il mondo. Alla fine, però, mi sono deciso ad affrontare il primo capitolo della succitata saga e di dire la mia, ben conscio del fatto che le mie riflessioni non nuoceranno in alcun modo all’autrice, che anzi starà ridendo di me e della mia ingenuità dall’alto dei suo tre ettari cubici di denaro come Paperon de’ Paperoni. La storia è ormai stranota: l’adolescente Bella (io narrante della vicenda) si è appena trasferita da Phoenix (Arizona) a Forks, una cittadina nello stato di Washington che è la più piovosa d’America (ovviamente i vampiri devono stare in un posto del genere, mica si può scherzare con i raggi del sole). Comincia a frequentare la nuova scuola e, fin da subito, si imbatte nel bellissimo Edward Cullen, una specie di dandy decadente e new romantic, pelle diafana, capelli di bronzo, denti luccicanti, occhi color del miele, sguardo languido ed enigmatico: Bella all’inizio crede che lui la detesti e la voglia evitare, ma cambia rapidamente idea dopo che lui la salva da un incidente stradale, da uno svenimento e da un’aggressione. Ne nasce un amore travolgente che però è impedito da un piccolo particolare: lui è un vampiro, e lo è dal 1918. Non un vampiro cattivo, anzi: vive in una specie di “comune” vampiresca assieme ad altri fratelli acquisiti, con un capofamiglia (Carlisle Cullen) che viene dall’Inghilterra del Seicento che ha insegnato a tutti i suoi figli adottivi a nutrirsi di sangue animale e a lasciar stare gli umani (insomma, si potrebbe dire dei vampiri “vegetariani”). L’autrice dipinge un’umanità scialba e superficiale (per non parlare dei rapporti familiari inesistenti di Bella con i suoi genitori), in contrasto con il gruppo dei vampiri che sono invece interessanti e fascinosi (e dalla piena vita familiare). È proprio qui che sorgono gli interrogativi: nella letteratura tradizionale, il vampiro è sempre stato dipinto come un mostro da esorcizzare e abbattere in quanto nemico della società, a prescindere dalle sue ragioni. Il vampiro della Meyer è piuttosto figlio del vampiro postmoderno di Anne Rice, una creatura bellissima e irresistibile, sofferente per la sua condizione e capace di provare sentimenti di vergogna (in Intervista col vampiro, Louis si nutriva di sangue di topo per non uccidere gli umani). Nessuno lo caccia più, anzi, è lui che cerca di normalizzarsi e di integrarsi, in nome del politicamente corretto: i membri della famiglia Cullen, divenuti vampiri non per scelta ma per carità (Carlisle li ha salvati in punto di morte), cercano di superare i confini di un destino che non si sono scelti e di avvicinarsi il più possibile all’essenza dell’umanità (ascoltano musica e giocano a baseball, sport americano per eccellenza). In loro tutte le qualità umane sono moltiplicate all’ennesima potenza: Edward sente l’odore delle persone e sa leggere la mente (tranne che quella di Bella) nello spazio di un chilometro, mentre la sorellastra Alice vede il futuro (o i vari futuri che si prospettano). Ovviamente a Forks esistono anche dei vampiri cattivi, che assaltano gli uomini e li uccidono, e che mettono gli occhi anche su Bella, donando qualche sussurro pretestuoso a una seconda parte che sembra messa lì solo per dare brio a una vicenda altrimenti completamente piatta. Un romanzo rosa venuto male perché ha la pretesa di rivolgersi a tutti e che ha il coraggio di definirsi horror in virtù della tematica affrontata, con personaggi piatti e banali (solo Alice è un po’ interessante) condito da dialoghi scontati e banali che fanno venire l’acidità e che spesso sembrano del tutto fuori luogo. Quanto alla lettura erotica del vampirismo (affondare i denti nel collo di una bella fanciulla è da sempre una chiara allusione sessuale) la mormona Stephenie Meyer rivela il suo vero punto di vista: è lampante che Bella voglia sin da subito concedersi a Edward per poter stare con lui per tutta l’eternità, ma lui resiste per bontà e per sapienza, perché sa cosa significa essere un vampiro e i tormenti di una simile esistenza. Ecco quindi il tema della castità, che sta tornando prepotentemente in America proprio grazie ai gruppi religiosi: il romanzo a mio avviso si può leggere come una gigantesca metafora della voglia di lei di concedersi a lui e della volontà di lui di resistere. Non per niente il finale si compie nello scontatissimo e fondamentale ballo scolastico, confortevole rito di iniziazione per ogni studente americano che si rispetti, come si conviene ad adolescenti per bene.