giovedì 27 gennaio 2011

Stieg Larsson - Uomini che odiano le donne

Il mio snobismo di fondo mi aveva sempre tenuto alla larga da Stieg Larsson, fenomeno editoriale con oltre 8 milioni di copie vendute nel mondo e morto ancor prima di vedere pubblicato questo suo libro d’esordio, il primo della trilogia Millennium. Non che abbia mai disprezzato uno che è riuscito a inchiodare l’attenzione di milioni di persone come Sutter Cane (lo scrittore del film Il seme della follia di John Carpenter che faceva impazzire i suoi lettori), a essere eletto eponimo di una nuova schiera di giallisti scandinavi che hanno invaso il mercato e in grado di rilanciare (da solo) il turismo svedese e in particolare della città di Stoccolma, grazie a tour tematici sui luoghi emblematici della suddetta trilogia. Il problema era, piuttosto, quello di trovare il coraggio di affrontare un volume di quasi 700 pagine per poi scoprire di avere a che fare con il solito bestseller sopravvalutato. Alla fine dell’impresa, senza arrivare agli eccessi un Antonio D’Orrico (che lo giudica l’erede dei grandi feuilleton del passato) o di un Carlo Fruttero (che pensa sia stato scritto direttamente dal computer), mi sono dovuto ricredere, anche se non tutto è così memorabile come si sarebbe portati a pensare. La storia segue le disavventure di un giornalista della rivista Millennium (da cui il titolo della trilogia), Mikael Blomkvist, che viene condannato a tre mesi di carcere per diffamazione nei confronti di un importante uomo d’affari svedese e che viene  contattato da Henrik Vanger, vecchio patriarca dell’industria che ogni anno per il suo compleanno riceve in regalo una misteriosa cornice di fiori, per scoprire chi quarant’anni prima avrebbe ucciso la sua amata nipote Harriet: dopo molte esitazioni Mikael si mette al lavoro sull’isola di Hedestad (di proprietà della famiglia) e incrocia il suo destino con quello di Lisbeth Salander, hacker sociopatica vittima di un passato di violenze (si tatua sul corpo un tatuaggio per ogni sopruso subito) e già assoldata dalla famiglia Vanger per scoprire se il giornalista in questione fosse corrotto o avesse punti deboli. Il romanzo procede parallelemente fin dall’inizio e ci illustra le disavventure di Lisbeth con il suo nuovo tutore depravato che la violenta, ma è dalla cooperazione con Mikael che si arriverà alla risoluzione del caso e alla scoperta dei molti scheletri nascosti nell’armadio della famiglia Vanger, legati a una serie di efferati delitti pseudorituali che hanno riguardato una serie di donne nell’arco di qualche decennio. La trama gialla non è particolarmente viva o originale e si limita a riesumare il tradizionale mistero della camera chiusa (in questo caso corrispondente ai confini dell’isola), con l’immancabile serial killer logorroico che disserta tranquillamente e filosoficamente sull’arte dell’omicidio; per il resto, gran parte del romanzo è dedicato alla vicenda della rivista Mellennium, sul punto di chiudere per mancanza di inserzionisti e rilevata dal gruppo Vanger, fino al pirotecnico finale in cui il giornalista buono si vendica (anche e soprattutto grazie a mezzi non leciti) mentre l’oscuro uomo d’affari viene smascherato e punito. Lo stile di Larsson non fa certamente gridare al miracolo (ma qui non so fino a che punto entri in campo la traduzione italiana) ed è piatto come quello di ogni giornalista economico che si rispetti (Larsson era, per l’appunto, un giornalista economico), però ha un suo perché e finisce per dare al tutto un’aura grigia e depressiva che è davvero intonata al panorama di squallore da lui evocato. La sua umanità è fredda e desolata, fatta di problemi familiari e matrimoni falliti (Mikael ha un’ex moglie e un’ex figlia che non vede mai, Lisbeth una madre demente che la scambia per sua sorella) e condizionata da una sessualità disordinata e occasionale (Mikael va a letto indiscriminatamente con la sua direttrice sposata, con una piacente signora che fa parte della famiglia Vanger e, per la gioia dei lettori, con la problematica Lisbeth); la sua società è distorta e malata e nasconde i peggiori crimini (stupri, nazismo, antisemitismo, perversioni di ogni tipo) dietro la patina della rispettabilità borghese e della socialdemocrazia. Larsson ha avuto gioco facile nell’evocare il passato hitleriano della Svezia (era un esperto di organizzazioni di estrema destra e neonaziste tanto da aver fondato una rivista sull’argomento), ma è stato abile a mettere a nudo le ipocrisie di un Paese che a parole spende più soldi per la tutela delle donne e poi ha il maggior numero di reati e violenze ai loro danni; funziona meno, invece, quando con tono tribunalizio invoca la necessità che i media vigilino sulla correttezza delle operazioni finanziarie. Resta comunque opinabile che su un libro del genere si debbano perdere le notti…

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