giovedì 4 agosto 2011

J.R.R. Tolkien - Lo Hobbit illustrato da Alan Lee

Conscio di averne già parlato (QUI per chi ne fosse interessato), ma rifacendomi alla questione che Tolkien non annoia mai e spinge a rileggere i suoi libri, torno a parlare de Lo Hobbit in quanto ho appena finito questa diversa e lussuosa edizione che, oltre a qualche accorgimento di traduzione rispetto a quella dell’Adelphi (Rivendell è tradotta “Gran Burrone” come nel Signore degli Anelli e non “Forraspaccata”, mentre i Troll restano “Uomini Neri” e il drago Smaug rimane “Smog”), presenta le meravigliose illustrazioni da Alan Lee, uno dei più grandi e affermati illustratori dell’opera tolkieniana, nonché uno dei due curatori (insieme all’altro grandissimo, John Howe) della trilogia cinematografice del Signore degli Anelli di Peter Jackson: l’opera si compone di tavole a colori a piena pagina ma anche di schizzi e bozzetti in bianco e nero all’interno del testo, veramente suggestivi e particolari (lo stile di Lee è ricco ma delicato, anche quando ritrae scene cruente o tenebrose), in grado di completare la lettura con un apparato visivo di prim’ordine e sostitutivo dell’iconografia originale del romanzo realizzata dallo stesso Tolkien. Il risultato è un libro bellissimo dal punto di vista estetico, che in qualche modo mi riporta alla prima (e ormai introvabile) edizione del romanzo in questione che ho letto da bambino, quella rilegata con le tavole di Tolkien a colori e, soprattutto, con una strepitosa copertina con il piccolo Bilbo Baggins (a dire il vero simile a uno gnomo) nell’antro di Smog, con il drago verde-oro con un rubino incastonato in pieno petto che si erge in tutta la sua fierezza sopra il tesoro (non so davvero quanto all’epoca abbia fantasticato davanti a simile splendore). Quanto al testo, devo dire di aver ripensato alla grandezza di Tolkien nell’aver imbastito una storia del genere e, soprattutto, nel non aver ceduto alle banalità: infatti, Bilbo (essere assolutamente non eroico in senso tradizionale) non uccide il drago e non si impossessa dell’Archepietra tanto cara al nano Thorin, ma, al contrario, Smog è ucciso da un personaggio secondario e il piccolo Hobbit cede la pietra accontentandosi di portare a casa solo un’infima parte del tesoro che gli spetterebbe. Inoltre, il ritrovamento del tanto famoso anello risulta abbastanza collaterale nell’intreccio: utile per scomparire, serve solo per superare le prove o le difficoltà lungo il cammino, senza nessun’altra implicazione simbolica. Inoltre, nel discorso che Thorin rivolge in punto di morte a Bilbo («In te c’è più di quanto tu non sappia, figlio dell’Occidente cortese. Coraggio e saggezza, in giusta misura mischiati. Se un maggior numero di noi stimasse cibo, allegria e canzoni al di sopra dei tesori d’oro, questo sarebbe un mondo più lieto») torna l’epica umana del Signore degli Anelli, incentrata su personaggi profondamente umani alle prese con problemi più grandi di loro. Contrariamente al suo parente più famoso, pur nella sua profonda dignità e serietà, questo romanzo è però più simpatico e scanzonato (così come Bilbo è più giocherellone e imbroglione di Frodo): memorabile l’augurio di Thorin «voglia il cielo che i peli dei suoi piedi non cadano mai! lode grandissima al suo vino e alla sua birra! » e il dialogo tra Bilbo e il nano Bombur durante la fuga nelle caverne degli orchi con il primo che si lamenta: «Ma chi, chi me l’ha fatto fare di lasciare la mia caverna!», mentre il secondo che lo porta in spalla pronto ribatte: «Ma chi, chi me l’ha fatto fare di portare questo disgraziato di un piccolo Hobbit in una caccia al tesoro!».

1 commento:

  1. Salve. Stavo proprio cercando questa edizione che ha il testo di Elena Jeronimidis Conte e minime correzioni come, oltre alle già citate, "han cominciato ad arrivare" invece dello scorretto: "sono cominciati ad arrivare" a pag. 20 e "manetta" invece di "pulsante"

    Potrei chiedere lo ISBN così da cercarlo?

    RispondiElimina