giovedì 15 settembre 2011

Joel McIver - Black Sabbath

È difficile spiegare cosa i Black Sabbath abbiano rappresentato per me e quanto mi abbiano accompagnato nel corso della mia esistenza (direi che se la giocano con gli Iron Maiden e i Queen, da questo punto di vista): “Heaven And Hell” è stato il primo disco metal da me acquistato e che ha permesso di addentrarmi all’interno di un mondo fatto di molte (a volte troppe) sfaccettature. Eppure, i Black Sabbath originali, quelli che tutti venerano e ricordano come maestri seminali dell’heavy metal, non sono quelli con Dio alla voce (che poi hanno dato vita agli Heaven & Hell, dal nome del loro disco più famoso e acclamato), bensì quelli con il mitico e folle Ozzy Osbourne, capaci di cambiare per sempre la storia del rock con una serie impressionante di dischi intramontabili (“Black Sabbath”, “Paranoid”, “Master Of Reality”, “Volume 4” e “Sabbath Bloody Sabbath”), con una formazione fissa che presentava anche il chitarrista Tony Iommi, il bassiste Geezer Butler e il batterista Bill Ward, tutti originari di Aston, sobborgo operaio di Birmingham dove le fabbriche e il pesante lavoro manuale davano da mangiare alla stragrande maggioranza degli abitanti. A raccontare la loro storia ci pensa questa biografia (la prima tradotta in italiano) di Joel McIver, giornalista metal molto quotato che, servendosi di estratti di vecchie interviste, spiega le origini e i motivi che hanno portato alla scelta del nome del gruppo, dell’intento di terrorizzare il pubblico con una musica mai ascoltata fino ad allora e del rifiuto da parte della band di fronte all’etichetta di satanisti che i soliti ben pensanti (e la scaltra casa discografica) avevano loro affibbiato. Spesso i fatti vengono presentati con ottiche differenti a seconda dei musicisti intervistati e la storia della band viene portata avanti in modo completo, soffermandosi sugli eccessi, le cadute, i litigi, i problemi manageriali, l’apoteosi degli anni Settanta, la droga e la devastazione, l’abbandono di Ozzy, la nuova fase con il compianto (e da me venerato) Ronnie James Dio di inizio anni Ottanta, gli esperimenti con altri professionisti del calibro di Ian Gillian, Glenn Hughes, e Tony Martin, quando il cocciuto leader Iommi (unico membro che vanta una permanenza costante in tutte le innumerevoli incarnazioni del gruppo) dovette combattere i tiramolla di Butler e Ward, sempre pronti a entrare e uscire dalla band a causa di motivazioni non sempre credibili (per Ward c’è l’attenuante della dipendenza cronica dall’alcol); quindi, i tentativi di modernizzazione, una prima reunion con Dio e, infine, la reunion con Ozzy e la gloria immortale della Hall of Fame (con tanto di tributo di due marpioni come Lars Ulrich e James Hetfield dei Metallica). Ci sono tantissimi aneddoti, alcuni davvero curiosi, altri a dir poco esilaranti, come le vicende sessuali del giovane Ozzy o i ricordi di un giovane Iommi, ancora studente, intento a gonfiare di botte Ozzy per mera antipatia ogni volta che lo incontrava a scuola; altri ancora al limite dell’assurdo, come quando Ozzy tenta di dare fuoco alla sorella o di impiccarsi per vedere che cosa si prova. Insomma, cose davvero imperdibili per ogni fan dei Sabbath che si rispetti, ma anche per chi ama leggere le storie e le disavventure delle rockstar (eccezionale la vicenda dell’epoca del tour di “Born Again” quando venne commissionato un set di monoliti in stile Stonehenge in metri e non in piedi, inutilizzabile sui palchi e per nulla facile da trasportare). Purtroppo, il libro (che non copre il periodo temporale degli Heaven & Hell, essendo uscito prima di questa reunion) segue due direttrici, la storia dei Sabbath e quella di Ozzy solista, finendo per dare troppo spazio alle vicende (anche private) del Madman e sulla sua folle vita extramusicale, i figli, la moglie Sharon (vera creatrice del suo mito presso le grandi folle) e gli Osbournes, infame serie di MTV che, neanche a dirlo, ha incontrato i gusti del pubblico televisivo americano all’inizio degli anni Duemila. Anche i dischi solisti di Ozzy vengono sviscerati a dovere, cosa che forse avrebbe potuto essere tralasciata in quanto tutto ciò non accade quando si tratta dei lavori a nome degli altri membri del gruppo (men che meno per il povero Dio, che sembra capitare sempre per caso) e perfino la sezione iconografica del volume dedica quasi tutto lo spazio alle foto della prima incarnazione dei Sabbath e alla loro tardiva reunion (c'è perfino quella in cui Ozzy solista addenta una colomba in conferenza stampa), concedendo le briciole al periodo Dio, Gillan e Martin, ma su questo si tratta di scelte personali ed editoriali dal momento che il fan medio sostiene senza dubbio la tesi che i Black Sabbath sono principalmente quelli con Ozzy al microfono. Quello che lascia perplessi è l’assoluta soggettività di alcune recensioni, per nulla condivisibili: della discografia degli anni Ottanta, McIver stronca inspiegabilmente un disco ottimo come “The Eternal Idol” e parla di “Heaven And Hell” come di un lavoro accademico, quasi di routine (per non parlare del trattamento riservato a capolavori come “Headless Cross” e “Tyr” con Tony Martin al microfono).

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