venerdì 20 maggio 2011

Luther Blissett - Q

Solitamente, almeno da quando ho questo spazio letterario, non parlo due volte di libri che ho già letto e dei quali ho già detto la mia. Sbagliando, forse, dal momento che alcuni romanzi sono talmente ricchi di spunti di riflessione da richiedere un’attenzione particolare (e qualche lettura supplementare, magari più avanti nel tempo) come è doveroso per questo Q, da me già affrontato l’anno scorso (tra l’altro nello stesso periodo) e amato incondizionatamente fin da subito, e non solo per la sua ambientazione veneziana. Oltre 600 pagine di rivolte, fughe, intrighi e stermini. Un romanzo totale, scritto a otto mani da un collettivo di scrittori che intende porsi come terrorista mediatico, geniale frullato di generi (giallo, noir, avventura, e chi più ne ha più ne metta) e violentemente anti-minimalista nonostante sia costellato di protagonisti comprimari sul palcoscenico della Storia, ambientato in un’epoca (il Cinquecento) che gli autori hanno indicato come fondativa del Moderno, con la nascita dell’Europa, della comunicazione di massa, degli apparati di polizia e, soprattutto, del capitale finanziario (onnipresente e decisivo in tutte le vicende narrate). Insomma, un libro che per sua stessa natura è talmente complesso da obbligare a una rilettura e che fa venire voglia di riprenderlo in mano. Senza tornare su quanto già scritto QUI (tutte cose che riconfermo), aggiungo una cosa che l’altra volta ho omesso: la struttura a due voci, quella dei due protagonisti senza nome (il rivoluzionario anabattista e la spia cattolica Q.), è talmente perfetta che per tutta la prima parte del romanzo si ha il sospetto che i due potrebbero essere la stessa persona che fa il doppio gioco, mentre nella seconda si ha l’irrefrenabile voglia di scoprire sotto quali spoglie si nasconda il nemico, per poi scoprire l’assoluta necessità dei nemici nel processo di memoria e identificazione da parte di persone senza identità (un po’ quello che ha cercato di fare anche Umberto Eco nell’ultimo Il cimitero di Praga). Inoltre, un’intuizione geniale del libro sta nell’aver unito non solo l’introduzione della stampa e il commercio di libri alla Riforma protestante (cosa nota alla storiografia), ma soprattutto nell’aver connesso il traffico di libri eretici e conciliatori ai disegni degli “zelanti” contro gli “spirituali”, in conformità con i disegni politici dell’imperatore Carlo V e gli interessi delle casse dei banchieri Fugger. E, in tutto questo, l’ingegno del singolo, perché, come dice il logorroico Pietro Perna: «Io sono un libraio, vado in giro, vedo un sacco di gente, vendo i libri, scopro talenti nascosti sotto montagne di carta… Io propago idee. Il mio è il mestiere piú rischioso del mondo, capito?, sono responsabile della diffusione dei pensieri».

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