
Continuo a convincermi sempre di più che Neil Gaiman sia uno scrittore eccezionale. Già estasiato da Stardust, non posso che riconoscere il valore di Coraline (non è un caso che entrambi i romanzi siano stati alla base di due bellissimi film), favola nera a uso familiare, cominciata dall’autore da un suggerimento della figlia maggiore e portata a termine per l’altra figlia più piccola imponendosi la ferrea disciplina di 500 parole al giorno. La cosa più sbagliata sarebbe pensare che le favole non hanno più nulla da dire, perché è vero che i modelli ci sono (e come potrebbe essere altrimenti!), ma gli esiti sono del tutto nuovi. In questo caso, la vicenda finisce per assumere i contorni morali di una specie di Alice nel paese delle meraviglie ribaltato: anche qui c’è una bambina, Coraline (errore di stampa per Caroline, che Gaiman ha però deciso di mantenere), che dopo essersi trasferita in una nuova casa e nell’attesa che ricominci l’anno scolastico, trascorre un’esistenza un po’ grigia con dei genitori che lavorano sempre (il padre compila interminabili cataloghi di giardinaggio) e degli strani vicini (due ex attrici e un vecchio pazzo dell’Est Europa che alleva topi ballerini), finché un giorno, nella sua stessa casa, scopre una porta aperta su un muro di mattoni, oltre il quale dovrebbe esserci un appartamento vuoto e invece si apre un corridoio scuro che porta a una casa identica alla sua, nella cui cucina vive una donna uguale a sua madre. Tutto è più bello e stimolante qui, tanto che le vicine di casa sono di nuovo giovani e si sbizzarriscono in spettacoli teatrali pirotecnici e perfino il padre, che solitamente in cucina è un disastro, cucina dei deliziosi manicaretti. Un piccolo particolare turba l’incanto: tutti i personaggi in questo altro mondo sono copie dei personaggi della vita reale ma con un paio di bottoni al posto degli occhi, attaccati con ago e filo. Ben presto però l’altra madre, che ama Coraline «come un avaro ama il denaro, o un drago ama l’oro», vuole impedirle di tornare nel mondo reale, tentando di sostituirle gli occhi con due bottoni e imprigionando anche i suoi veri genitori. Chiusa in uno stanzino dietro uno specchio, Coraline conosce le anime delle altre tre vittime dell’altra madre, svuotati di un nome e quindi di un’anima, e decide di intraprendere una sfida decisiva: in compagnia di un misterioso gatto (l’unico a essere privo di nome, in quanto, come lui stesso spiega: «Voi persone avete il nome. E questo perché non sapete chi siete. Noi sappiamo chi siamo, perciò il nome non ci serve») scommette con la megera che sarà in grado di ritrovare l’anima dei tre sventurati e, insieme, i suoi veri genitori. Attraverso il ribaltamento della fiaba e con un fondo di angoscia che fa riflettere, Gaiman affronta, in modo straordinariamente adulto, temi centrali come quello del doppio (gli specchi sono onnipresenti), della prova, della paura e del coraggio, ma anche e soprattutto il rapporto genitori-figli, il disprezzo per la routine della vita quotidiana e la sostituzione del reale con dei paradisi artificiali («Ogni mattina un mondo nuovo verrà creato apposta per te», viene spiegato a Coraline). Un libro da non lasciarsi scappare.