martedì 31 gennaio 2012

J.K. Rowling - Harry Potter e i doni della morte

Avete presente quella puntata dei Simpson in cui J.K. Rowling, interrogata sul cosa sarebbe successo alla fine del libro, risponde a Lisa: “Harry diventa grande e sposa te”? Ecco, è più o meno questo il punto: sono sempre più portato a pensare che la molla fondamentale della narrativa seriale (così come delle serie televisive, tipo Lost) sia il proseguimento della narrazione in quanto tale, l’evoluzione della trama come puro piacere fisico, in quanto, nel momento in cui arriva il finale, non solo si è tristi perché è diverso da come uno se lo aspettava (inevitabilmente, qualsiasi finale tradisce le attese), ma soprattutto perché di quella serie non si avrà più un altro episodio. Lo stesso succede inevitabilmente per la saga di Harry Potter, con l’aggravante che (so bene di attirarmi molte critiche in questo senso) questa serie rappresenta per me una caduta senza fine. A un ottimo primo capitolo che mi ha costretto a ritrattare tutti i pregiudizi sempre covati sull’opera della Rowling dopo anni da babbano convinto, sono seguiti romanzi carini ma per nulla speciali, pieni di trovate e invenzioni e capaci di attestarsi su un buon livello medio che, pur senza far gridare al miracolo, li rendeva molto piacevoli. Poi è arrivato il quinto noiosissimo (e ipertrofico) capitolo che ha minato molte delle mie certezze, seguito da un sesto volume che ha migliorato di poco le cose ma, per lo meno, si poneva come un buon prologo allo scontro finale tra Harry Potter e Voldemort. Scontro che viene raccontato, per l’appunto, da questo Harry Potter e i doni della morte, romanzo che si presenta sin da subito, dichiaratamente, epico, tragico e definitivo, insomma la summa del canone rowlinghiano. Dopo la morte di Silente, che aveva gettato protagonisti e lettori di tutto il mondo nel panico più nero, la vicenda qui si riapre con il tentativo di trasferire Harry dalla sua casa a un luogo protetto, con un primo attacco di Voldemort e dei suoi Mangiamorte che porta alla dipartita del povero Malocchio Moody (la prima di una serie di morti violente che hanno portato anche a critiche nei confronti della Rowling da parte dei fan in lacrime). Harry e i suoi amici Ron e Hermione perseguono la distruzione degli Horcrux (gli oggetti dentro cui Voldemort ha diviso la sua anima e che sono chiave della sua immortalità), inoltre Silente ha lasciato a ciascuno dei tre ragazzi un’eredità: a Harry il suo primo boccino d’oro, a Ron un oggetto di sua invenzione che si illumina in caso di bisogno e a Hermione un libro di favole. Nella loro ricerca, sinora, ne hanno trovato solo uno, un medaglione appartenuto alla famiglia di Sirius Black (il padrino di Harry): ovviamente la ricerca non è così semplice, perché l’Ordine della Fenice sta sparendo, il Ministero della Magia è stato filtrato dai Mangiamorte, la faccia di Harry è su tutti gli opuscoli e i giornali (bollato come “indesiderabile numero 1”) e i tre sono ricercati dai sinistri Ghermidori (cacciatori di taglie). Ben presto emerge che i due contendenti (Harry e Voldemort) si annullano a vicenda in virtù delle loro bacchette, dotate della medesima forza, ed emerge la necessità di percorrere altre strade. Ecco a questo proposito l’entrata in gioco dei doni fatti dalla morte a tre fratelli e a cui fa il riferimento il titolo del romanzo: una bacchetta di sambuco, il mantello dell’invisibilità e la pietra della risurrezione. Il mantello dell’invisibilità l’ha sempre avuto Harry, la pietra della resurrezione è da recuperare mentre la bacchetta di sambuco (la bacchetta più potente del mondo!) è appannaggio dell’Oscuro Signore che non si fa problemi a violare la tomba di Silente per recuperarla. Uno degli elementi distintivi della saga è la crescita dei suoi protagonisti, elemento che ne ha sancito il successo presso il pubblico dei giovanissimi (tanto da parlare orribilmente di “generazione Harry Potter”, indicando tutti coloro che sono cresciuti leggendo la saga, capitolo dopo capitolo) e che si rispecchia negli argomenti trattati e nel taglio sempre più adulto e drammatico delle vicende narrate. Qui ormai la cupezza è diventata quasi preponderante, la morte incombe su tutti i personaggi più cari e il mondo è quasi completamente in possesso del male (con Voldemort che persegue sempre più la sua visione razzista della magia e intende sbarazzarsi dei maghi che non sono di sangue puro, con il Ministero della Magia che approva leggi anti-babbani molto simili alle leggi razziali naziste passando al dettaglio gli alberi genealogici di tutti i maghi), tanto che l’autrice sacrifica le divagazioni narrative e le sottotrame romantiche (rimane solo giusto una scenata di gelosia di Ron) che avevano costituito in fondo la specificità della saga e sceglie di spostare l’ambientazione da Hogwards alla realtà quotidiana, lontana da quel mondo fatato e protettivo che era la scuola di magia, decisione questa che non fa che accentuare quelle caratteristiche di “educazione alla vita” che da sempre contraddistinguono le avventure del maghetto più famoso del mondo. Maghetto che, da parte sua, non è più solo quel personaggio positivo che si potrebbe credere, dal momento che si porta dentro (per colpa della maledizione che grava sulla sua vita) un po’ della malvagità di Voldemort e della sua anima nera, e che inoltre è molto combattuto e ferito nella convinzione che Silente non si sia fidato completamente di lui tacendogli molti segreti e nascondendo a tutti un passato familiare doloroso (era amico dell’oscuro Grindenwald e ha avuto una qualche triste parte nella morte di sua sorella Ariana, sospetta magonò, cioè una maga senza poteri magici). Per la felicità dei fanatici della saga (ma nell’indifferenza di tutti gli altri), la Rowling accumula rimandi a personaggi e particolari accennati nei romanzi precedenti, con un’indubbia capacità di collegamento e sviluppo (logico che abbia cercato di far confluire tutti gli spunti in una cornice di fondo compiuta e verosimile), e imbastisce una costruzione cinematografica che, a una prima parte relativamente tranquilla fa seguire un’accelerazione continua con sempre minori momenti di sosta narrativa che non lasciano fiato al lettore. Purtroppo, al di là della frenesia narrativa, molti elementi rimangono solo abbozzati (l’Horcrux che mostra a Ron le sue paure e le sue frustrazioni, la lotta con il drago dentro la banca Gringott) e, sebbene sia evidente che ci sia un notevole sforzo di dare complessità ai personaggi (soprattutto a Piton, ora eletto campione dell’amore universale), il manicheismo di fondo è sempre ben marcato, con annessa morale che bene e male (forze complementari) convivono in ognuno di noi e nel mondo e che il fattore discriminante è la scelta. Inoltre, prima del titanico finale in cui, dopo la battaglia per Hogwards, finalmente assistiamo allo scontro finale tra il nostro eroe e Voldemort che ha dei risvolti addirittura metafisici, per lunghi tratti del libro l’accumulo di elementi e metafore, oltre alle numerose peregrinazioni dei protagonisti, provocano una certa noia, per non parlare dell’antipatia che suscita gente come i folletti e gli elfi domestici. Ovviamente, Le fiabe di Beda il Bardo mi guardo bene dal leggerlo.

lunedì 30 gennaio 2012

Michail Bulgakov - Il Maestro e Margherita

Nella famosa categoria dei libri della propria vita, quelli che restano nel profondo del cuore e che, anno dopo anno, si riprendono in mano per riprenderne alcuni punti o rileggerli da cima a fondo, metto sicuramente Il Maestro e Margherita. Geniale per la capacità di Bulgakov di mescolare riflessione e ironia, profondità e leggerezza, ma soprattutto di intersecare tre vicende apparentemente distanti: l’arrivo a Mosca del diavolo e dei suoi aiutanti, la vicenda del Maestro e della sua innamorata Margherita e la storia di Ponzio Pilato. L’incipit è folgorante: il diavolo appare dinanzi a due cittadini, uno dei quali, Berlioz, sta enumerando le prove dell’inesistenza di Dio all’altro, il poeta Bezdomnyj, incaricato di scrivere un’opera su Gesù Cristo e accusato dall’altro di averlo dipinto in maniera troppo viva. Il diavolo si intromette nella discussione e dimostra subito di non condividere il parere sull’inesistenza di Dio, dice di aver fatto colazione con Kant e di essere stato presente nientemeno che all’interrogatorio di Gesù (qui chiamato Jeshua Hanozri) da parte di Ponzio Pilato, dandone ampia relazione. Inoltre, predice a Berlioz la sua imminente decapitazione, che puntualmente si verifica dopo un incidente tramviario. Vanamente inseguito dal poeta, il diavolo fugge in compagnia dei suoi compari Korov’ev, Azazello e del gatto nero Behemot, mettendo a soqquadro la Mosca sovietica (a metà strada tra servilismo e autoritarismo) e seminando il panico nell’apparato burocratico statale, dove arroganti un po’ imbecilli occupano i loro posti senza nemmeno avere il diritto di farlo e sono portate a sconfessarsi davanti al pubblico e di ammettere di essere dei profittatori e dei ladri: emblematico di questa situazione è il MASSOLIT, l’unione di critici e scrittori (il sui accesso, non a caso, è vincolato al possesso di una tessera), un’associazione popolata di esseri vili, miserabili e fasulli, foraggiati dal regime in quanto esecutori e custodi del canone socialista. Sotto le vesti del professore di magia nera Woland, il diavolo si esibisce al Teatro del varietà di fronte a un enorme pubblico, mettendo in scena fatti così fenomenali che alcuni spettatori devono essere ricoverati in una clinica psichiatrica: in verità uno spettacolo di grande moralità che mette a nudo un’indegna società dominata dai soldi e coinvolge gli spettatori tramutandoli in attori e spingendoli a confessare le malefatte proprie e altrui, rovesciando quindi l’invocato “smascheramento” della magia nera che, come preteso dagli impresari sovietici, non può esistere e deve essere pertanto spiegata. Malconcio e ridotto in mutande da una colluttazione con Azazello, anche il poeta Bezdomnyj non sfugge alla collera dei suoi colleghi del MASSOLIT (vanamente impegnati a farsi assegnare l’alloggio del defunto Berlioz) che lo prendono per pazzo e viene condotto alla clinica del professor Stravinskij. Qui incontra il Maestro, tipica figura del dissidente confinato come pazzo (chiaramente figura che riflette l’esperienza autobiografica dello stesso Bulgakov) in quanto autore di un poema su Ponzio Pilato, ovviamente demolito dalla critica di regime (ed è per merito suo che possiamo leggere il secondo episodio religioso, la crocefissione). Il Maestro ama perdutamente Margherita la quale, contattata dagli emissari del diavolo, accetta di liberarlo volando nuda sopra la città a cavallo di una scopa nel sabba infernale (degno di un trattato di demonologia) organizzato da Woland e dai suoi aiutanti (con molte allegorie della società, come gli uomini trasformati in maiali). Alla fine, il Maestro ottiene che il suo poema, dato alle fiamme, risorga dalle ceneri, perché il suo romanzo (la vera storia di Cristo che confuta la narrazione di Levi Matteo) non può essere censurato ma deve essere accettato come parte integrante della vita dell’uomo. Ed è così che abbiamo il terzo e ultimo episodio “sacro”: Giuda assassinato dai sicari di Pilato, lo stesso Pilato che poi continuerà a vivere in attesa di incontrarsi ancora con Gesù. La sorte dei due amanti a questo punto è segnata: un’esistenza immobile e fuori dal tempo, sottratta al giudizio dei contemporanei (perché l’intelletto deve essere libero) in un limbo di eterno riposo, quel riposo che la società non ha mai concesso. A dispetto dei temi trattati, però, Bulgakov non parla di trascendenza o di fede: il diavolo, Pilato e Gesù servono semplicemente per dimostrare quanto può essere pericoloso che l’uomo decida di non credere a niente e stabilisca l’utopia in terra, suggerendo che il dubbio è molto più forte di qualunque forma di ossessione razionale e organizzativa. A chi vuole stabilire per legge che non è esistito Gesù e che non esiste nemmeno il diavolo, Woland riesce ad applicare tutte le possibili perfidie, facendolo cadere nella contraddizione e girare nudo per la città, spedendolo a sua insaputa a Jalta e a subire le conseguenze della follia burocratica statale. Certo, le ansie di Bulgakov sono quelle di un intellettuale alla ricerca di un pubblico di lettori e ben si spiega quindi che l’unico nuovo e vero lettore, anzi continuatore e discepolo, che il Maestro acquista è Ivan Bezdomny che era poeta ma che, in seguito all’unico incontro con un vero scrittore, una volta rinsavito non scriverà più, avendo capito di non essere poeta, ma vivrà il libro del Maestro continuandolo nell’allucinazione e nel sogno. Sarebbe però un errore prendere tutte queste considerazioni come frutto di un romanzo noioso: ci si perderebbe personaggi grotteschi ma grandiosi, così come tocchi di puro surrealismo astratto e scene memorabili come quella del gatto Behemot che prende il tram pretendendo di pagare il biglietto e viene fatto scendere in quanto è vietato l’ingresso agli animali, o quella in cui Korov’ev e Behemot, prima ancora di vendicare la buona letteratura dando alle fiamme il Griboedov (sede del MASSOLIT), svolgono la parte di giustizieri sociali appiccando le fiamme a un negozio dove merci e prodotti di alta qualità sono venduti soltanto a chi può pagarli con valuta occidentale.

venerdì 27 gennaio 2012

George R.R. Martin - Il regno dei lupi

A dispetto della loro mole, i romanzi fluviali di George R.R. Martin (ormai, dopo la serie televisiva Il trono di spade, diventati un must per tutti gli appassionati di fantasy) si leggono che è un piacere. Non richiedono un grande sforzo e hanno delle cadute di volgarità che potrebbero non garbare a tutti, ma hanno il pregio di appassionare con una trama veramente al servizio della complessità dei personaggi creati (e per questo Martin è molto meglio di un Ken Follett qualsiasi). In questo terzo capitolo (in realtà la prima parte dell’originale Lo scontro dei re, per le note decisioni editoriali della Mondadori che per inciso ha scelto una copertina orrida e totalmente estranea ai contenuti del romanzo), i punti di vista dei personaggi passano da otto a nove e vengono introdotti delle nuove figure: Stannis Baratheon, fratello del defunto re Robert e per questo (sobillato dalla sacerdotessa Melisandre) ben intenzionato a prendersi il potere facendo la guerra all’altro fratello, Renly, e denunciando l’incesto (per nulla inventato!) tra la regina Cersei e il fratello Jaime Lannister, mentre il loro figlio Joffrey, un odioso moccioso che si diletta in meschinità e violenze, siede sempre sul trono. Nella lotta mortale si inserisce però anche Robb Stark, figlio del decapitato Ned e ora eletto re del Nord e in guerra contro il braccio armato della monarchia rappresentato da Tywin Lannister (padre di Cersei e Jaime). L’altro Lannister, il nano Tyrion, il più cinico ma anche quello più astuto (e in definitiva più simpatico), arriva a corte come nuovo Primo Cavaliere e, con un abile gioco d’astuzia, comincia a prendere le misure di chi detiene il vero potere: l’infido Petyr “Ditocorto” Baelish, l’eunuco Varys (detto "il Ragno Tessitore") e l’ipocrita gran maestro Pycelle. Il figlio bastardo di Ned Stark, Jon Snow, si avventura al di là della Barriera insieme agli altri Guerrieri della Notte alla ricerca dei confratelli scomparsi, sostando presso il castello di un bruto che sposa le proprie figlie e genera con loro altre figlie e abbandona invece i figli maschi alle oscure presenza della Foresta Stregata. Le sue sorelle Sansa e Arya, invece, sono prigioniere dei Lannister: la prima alla corte di Approdo del Re, promessa sposa al re Joffrey (dal quale viene umiliata quotidianamente); la seconda direttamente alla fortezza dei Lannister, dopo aver cercato di fuggire verso Grande Inverno con un Guerriero della Notte e il suo seguito di nuove reclute ma essere caduta in un attacco degli sgherri dei Lannister (alla ricerca di un fabbro che, incidentalmente, era anche figlio illegittimo del defunto re Robert). Pochissimo spazio viene dedicato a Daenerys Targaryen, che ha appena risvegliato tre draghi e marcia ora verso est nella direzione indicata da una grande cometa rossa comparsa nei cieli e affronta un pericoloso cammino attraverso un territorio desolato, mentre è molto bella e riuscita la parte del baldanzoso Theon Greyjoy che, dopo dieci anni come ostaggio di lusso a casa Stark, rientra a Pyke, nelle Isole di Ferro, per sottoporre al padre la richiesta di aiuto del suo re e, credendo di essere accolto in pompa magna, finisce a letto con sua sorella (lui ignora il particolare, lei ovviamente no) e scopre che suo padre lo ritiene un rammolito e intende costruirsi con la forza un regno tutto suo (tanto per cambiare). Insomma, non accadono grandi avvenimenti (giusto la battaglia e la cattura di Arya e l'assedio finale di Capo Tempesta) e il sospetto che Martin potrebbe tirarla avanti all’infinito si è ormai tramutato in certezza: come narratore, però, bisognerebbe tributargli un monumento.

lunedì 2 gennaio 2012

The Beatles - Yellow Submarine

Il mio recente acquisto dell’iPad 2 non solo ha segnato la capitolazione economica e spirituale del sottoscritto (dopo mesi di sospiri e desideri repressi a forza), ma si è rivelato un colpo di fortuna davvero insperato per essermi trovato nelle condizioni di poter scaricare e usufruire di questo ebook gratuito, specificamente pensato per le potenzialità offerte dal mirabolante tablet di casa Apple e generosamente offerto dalla casa di Cupertino ai suoi utenti (Steve Jobs era fan dei Beatles e, come si legge nella seconda di copertina, questo libro è dedicato proprio alla sua memoria). Un regalo ben gradito, dal momento che anch’io sono un grande fan dei Beatles e sono letteralmente cresciuto vedendo Yellow Submarine in televisione, maturando quindi una certa dimestichezza con l’universo lisergico, assurdo e colorato del film in questione (mai troppo supportato dai Beatles stessi, che si limitarono a una rapida apparizione nel finale e non prestarono neppure le voci ai rispettivi personaggi). A ben guardare, il libro è piuttosto breve (44 pagine) e per di più solo in lingua inglese, ma ha il pregio di riprendere la storia dell’omonimo film di George Dunning (pur snellendone di molto la trama e i dialoghi), sorta di fiaba psichedelica per famiglie basata sulle vicende della Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band e sulla lotta contro i Blue Meanies (in italiano tradotti Biechi Blu) che odiano amore e musica e il ritorno dei colori nel mondo, congelando e dipingendolo di grigio. Una sorta di viaggio nel Paese delle Meraviglie beatlesiane che vede i nostri quattro beniamini lasciare Liverpool e dirigersi a Pepperlandia a bordo del famoso Sottomarino Giallo, attraversando mille peripezie, creature e luoghi surreali dai colori sgargianti. Pieno di citazioni e rimandi alle canzoni dei Beatles, battute folgoranti (“Liverpool è così triste il sabato sera... e siamo appena a giovedì mattina!” dice uno sconsolato Ringo) e di giochi di parole intraducibili (“I’m a born lever-puller”, oppure “There’s a school of wahles.” “They look a bit old for school…” “University, then… University of Wales”), l’opera è abbastanza in grado di rendere l’idea di quello che l’iPad è in grado di offrire: interattività con i personaggi, oggetti che si spostano sullo schermo (il mostro con la bocca a forma di tromba che assorbe gli altri elementi intorno a lui, mentre nel mare di buchi è possibile far sparire le teste dei quattro vedendosele riapparire fuori da un’altra parte), brevi spezzoni filmati e lettura di tutti i testi dell’attore Dean Lennox Kelly (azionabile a piacimento). Purtroppo, mancano le canzoni della colonna sonora (ci sono solo spezzoni di All Together Now, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band e All You Need Is Love), comunque tutte acquistabili da iTunes da un’apposita pagina posta in chiusura di libro con invidiabile opportunismo commerciale. La domanda resta sempre quella: quanti editori decideranno a questo punto di investire le loro risorse e intraprendere la via offerta dai lettori di ultima generazione realizzando opere veramente innovative e scongiurando la possibilità che l’iPad resti solo un costoso giocattolo? Ai posteri l’ardua sentenza…