mercoledì 25 aprile 2012

Cristiano Canali e Marco Gamba - Iron Maiden dalla A alla Z

Raramente capita di imbattersi in libri del genere. Pensate a come ci si può sentire nel trovare un bel volume dedicato alla band che vi ha avvicinato al metal e alla quale, forse, siete più affezionati in assoluto: gli Iron Maiden. L’avessi avuto tra le mani ai tempi del liceo, quando passavo il tempo a consumare i loro nastri, probabilmente sarei impazzito, imparandolo a memoria. Fa piacere constatare come molte altre persone, cresciute ascoltando i tuoi stessi gruppi, si spendano per diffondere la loro conoscenza alle nuove generazioni, così come scoprire realtà come la Tsunami Edizioni che dedicano così tanta cura alla realizzazione di un prodotto così curato (che comprende due inserti di foto a colori e numerose illustrazioni in bianco e nero). Iron Maiden dalla A alla Z (il titolo non è il massimo, ma almeno non è stato banalmente utilizzato quello di una loro canzone) è un vero e proprio dizionario maideniano, organizzato in ordine alfabetico e pensato per un approccio consultativo, senza quindi uno sviluppo storico/narrativo tipico di una biografia: un’intenzione pregevole, che permette un’assoluta libertà di rapporto con il volume, per un totale di 800 voci che comprendono non solo tutti gli studio album, i dischi dal vivo e i tour di supporto (minuziosamente descritti con tanto di setlist), ma anche ogni singola canzone (b-side comprese) e i luoghi più significativi per la band. Con dovizia di particolari e curiosità di ogni tipo, e mediante il ricorso a stralci di intervista e dichiarazioni di protagonisti dell’universo maideniano, i due autori raccontano vita, morte e miracoli (e rispettive carriere soliste, quando non gli hobby) di membri ed ex membri, ingegneri del suono, illustratori e manager (soprattutto Rod Smalwood, potentissimo e abilissimo boss cui la band deve tutto il suo successo). Ovviamente, i nostri due autori (dei veri appassionati) non sfuggono alla legge del commento entusiasta, ma fortunatamente hanno gusto e le loro considerazioni rispecchiano in pieno quella di ogni appassionato maideniano che si rispetti (almeno fino agli ultimi e orrendi “A Matter Of Life And Death” e “The Final Frontier”, per i quali spendono ugualmente e inspiegabilmente belle parole). Soprattutto perché l’entusiasmo si perdona facilmente se stiamo parlando di una vera e propria leggenda della musica, fatta di 85 milioni di dischi venduti, cresciuta e consolidata negli anni Ottanta (nella sua formazione storica con Bruce Dickinson, Steve Harris, Adrian Smith, Dave Murray e Nicko McBrain) grazie ad album monumentali nel genere heavy metal e massacranti tour sempre più raffinati e complessi che ha portato il gruppo dai pub inglesi di fine anni Settanta alla arene di fine millennio, senza dimenticare l’apporto di un’iconografia unica e tante volte copiata (ma mai replicata) e che aveva il suo caposaldo nella mitica mascotte Eddie, declinata in mille incarnazioni dal suo illustratore Derek Riggs. Senza dimenticare dei testi assolutamente fuori dal comune, capaci di attingere dalla mitologia (“Flight Of Icarus”), dalla storiografia (“Alexander The Great”), dalla letteratura (“Rime Of The Ancient Mariner”) e dalla filmografia (“Where Eagles Dare”), ma capaci comunque di stabilire interessanti collegamenti con il mondo di oggi e la fantascienza. Quello che però emerge decisamente è la grande sagacia imprenditoriale con la quale gli Iron Maiden sono stati gestiti, tanto che la loro carriera assume caratteristiche di eccellenza se confrontata con quella di altri musicisti coevi, di cui oggi si sono perdute (o quasi) le tracce. Non  passa sotto silenzio neppure una delle ere e delle diverse formazioni della band, che tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta perse due dei suoi pezzi migliori (il raffinato chitarrista Adrian Smith e il carismatico singer Bruce Dickinson) e prima virò con decisione verso un suono più grezzo e poi si ritrovò a dover fare i conti con il triste periodo Blaze Bayley, cantante dotato di una voce totalmente diversa dal suo predecessore e protagonista di due dischi fallimentari (“The X Factor” e “Virtual XI”) e di due desolanti tour che lo videro alle prese con brani non adatti alla sua ugola (nel silenzio dei compagni che si rifiutarono di venirgli incontro aggiustando l’accordatura delle chitarre): incredibilmente, proprio il povero Blaze gode di incondizionata simpatia da parte dei due autori, capaci di riconoscergli il valore musicale al di là delle critiche e delle sventure maideniane. Non mi dilungherò nel dire quanto i Maiden non indovinino un album dal 1988 e che la reunion alle soglie del Nuovo Millennio sia stata solo un’operazione commerciale che ha portato tanti soldi e ha aumentato a dismisura il loro successo in tutto il mondo: addentrarsi in aneddoti e particolari di canzoni che sono parte della mia vita mi ha fatto solo venire voglia, ancora una volta, di esclamare “Up the Irons”. Da menzionare, infine, la splendida copertina, che raffigura l’immortale Eddie seduto di spalle e impegnato a leggere un voluminoso tomo, questa vota vinto e guidato dal diavolo che invece lui manovrava come un burattino sulla copertina del mitico “The Number Of The Beast”.

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