mercoledì 26 dicembre 2012

Carlos Ruiz Zafón - Il prigioniero del cielo

Terzo volume della saga del Cimitero dei Libri Dimenticati dopo il capolavoro L’ombra del vento e il successivo Il gioco dell’angelo (di poco inferiore forse per via di alcune trovate eccessivamente soprannaturali, ma comunque bellissimo), anche se è bene chiarire che i libri di Zafón non vengono sequenzialmente uno dietro l’altro ma si incastrano uno nell’altro da un punto di vista sia cronologico sia delle storie raccontate. Nel caso di questo Il prigioniero del cielo, ci troviamo nella Barcellona di fine degli anni Cinquanta, dove Daniel Sempere (protagonista dell’Ombra del vento) è un uomo ormai sposato e dirige la libreria di famiglia insieme al padre e al fedele Fermín (anch’egli personaggio dello stesso romanzo). Una mattina, durante il periodo di Natale, entra in libreria uno sconosciuto torvo, zoppo e privo di una mano, che acquista una rarissima e costosissima copia del Conte di Montecristo di Dumas pagandola il triplo del suo valore ma lasciandola a Daniel perché lo consegni a Fermín, con una dedica inquietante che dice «tornato dal mondo dei morti e possiede la chiave del futuro», firmandosi “13”. Fermín racconta quindi la sua storia a Daniel, di quando alla fine degli anni Trenta è finito prigioniero politico nel carcere di Montjuic, castello usato come prigione dai franchisti, dove scopriamo quale subdolo patto legava David Martin (protagonista del Gioco dell’angelo) al suo carceriere Mauricio Valls (infida figura che incarna il peggio del regime franchista), con torture, sofferenze e tesori nascosti. Queste rivelazioni si intrecciano inestricabilmente con la vita di Daniel, da un lato per via della madre Isabella (della quale non abbiamo mai saputo che fine avesse fatto se non che è morta molto giovane quando David era un bambino) e della scoperta del nome del suo assassino, dall’altro per una sua piccola disavventura coniugale (un vecchio spasimante della moglie si rifà vivo sobillato proprio da chi è responsabile della morte della madre). Come sempre la vicenda ruota intorno al Cimitero dei Libri Dimenticati, luogo per eccellenza dell’immaginazione di Zafón, ed è ricca di riferimenti al resto della saga (l’ombra di Julian Carax, l’ispettore Fumero). Lo scrittore catalano continua a raccontare le sue storie ambientate in un universo a tutti gli effetti letterario (i suoi sono libri che parlano di altri libri e di persone che leggono, scrivono e pubblicano libri), a sviluppare i personaggi e, come un nuovo Dickens, a giocare con i registri (nella prigionia di Fermín il tono è tragico-drammatico, nel suo matrimonio è comico-umoristico) e il linguaggio, sempre raffinato e iperbolico (in ultima analisi, altamente letterario). La parte del racconto di Fermín è splendida, un po’ perché ricalca Il Conte di Montecristo (fuga con sostituzione di cadavere compresa), un po’ perché riprende tutti quegli elementi gotici e i colpi di scena tipici degli altri due volumi della saga, ma il fatto che il romanzo non sia risolto e lasci aperta la porta a un seguito fa sì che esso risulti meno appetibile per i non fan della saga e meno godibile se affrontato come opera a sé stante. Dove Zafón eccelle è nella trasformazione di un nome falso in un nome vero, e quindi nella costruzione dell’identità attraverso la falsificazione: non solo l’identità di Fermín Romero de Torres è fittizia (in quanto invenzione dello stesso Fermín per salvare la pelle durante la guerra), ma quell’identità non può essere usata perché Fermín è stato dichiarato morto dallo Stato. Una tematica che si connette a quella più profonda dell’identità e del ricordo che rappresenta il Cimitero dei Libri Dimenticati e che caratterizza la ricerca di Daniel alla scoperta della verità su sua madre (che suo padre, invece, gli ha sempre taciuto, rimuovendo quanto accaduto durante gli anni della Guerra Civile). Ogni parte del libro è caratterizzato dalla presenza di una bellissima fotografia in bianco e nero di Barcellona, sempre co-protagonista del romanzo, opera del fotografo catalano Català-Roca, lo stesso delle copertine dell’Ombra del vento e del Gioco dell’angelo.

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