venerdì 14 dicembre 2012

J.R.R. Tolkien - Lo Hobbit (con le illustrazioni di Alan Lee)

L’uscita del primo capitolo della nuova trilogia di Peter Jackson dedicata a Lo Hobbit ha riportato, com’è ovvio, un’incredibile febbre per tutta l’opera tolkieniana in generale, dimostrando che il cinema è un ottimo veicolo promozionale per far conoscere scrittori immortali (quella ben ristretta categoria di persone che scrivono libri capaci di dire qualcosa anche a diverse generazioni). Conta poco fare il fan intransigente e un po’ snob che, ricalcando le posizioni del figlio di Tolkien, Christopher, dichiara schifato che i film del Signore degli Anelli hanno tralasciato i contenuti più profondi e i veri valori in cui lo scrittore credeva, o che, peggio ancora, la trilogia ha trasformato in prodotto di massa una cosa che doveva restare appannaggio di pochi selezionati iniziati. Il mio modestissimo parere è quello che i film di Peter Jackson non intendono essere dei doppioni dei libri dai quali sono tratti (cosa da un lato impossibile, dall’altro lato impossibile), ma hanno semplicemente permesso a molti di conoscere la Terra di Mezzo (e di scoprirne il fascino), spingendoli alla riscoperta dei libri del Professor Tolkien. Inoltre, ancor prima che uscisse il primo film dello Hobbit, le librerie sono state invase da nuove edizioni di volumi magari divenuti di difficile reperibilità, una vera manna per i fanatici e i collezionisti. Per questa nuova edizione tascabile del romanzo originario, Bompiani si è affidata, dopo quella storica di Elena Jeronimidis Conte per Adelphi (di quasi 40 anni fa, a sua volta ricevuta in eredità dalla Rusconi, di cui ho già parlato QUI) e quella di Oronzo Cilli per l’edizione rilegata de Lo Hobbit Annotato (che tentava di uniformare, con alcuni accorgimenti, il testo al Signore degli Anelli, ne ho già parlato QUI), all’inedita traduzione firmata da Caterina Ciuferri (traduttrice de Lo Hobbit a fumetti e de I figli di Húrin), corredata dalle fantastiche illustrazioni vecchio stile di Alan Lee (già presenti nell’edizione deluxe di qualche anno fa) e presentata in un bel formato tascabile con gli angoli smussati (e in ebook). Con in più la supervisione di Paolo Paron, fondatore della Società Tolkieniana Italiana, a imprimere il marchio di autenticità all’intera operazione. Alcune cose cambiano, in questa nuova versione, a cominciare dal sottotitolo Un viaggio inaspettato, ritenuto più accattivante del precedente La riconquista del tesoro e dell’originale There And Back Again (“Andata e ritorno”), e ovviamente in linea con il titolo della prima delle tre parti del film di Peter Jackson (si sa, bisogna dimostrarsi sempre attenti a certi particolari di natura commerciale). Non muta invece la sostanza degli avvenimenti, descritti da Tolkien ben vent’anni prima delle stesse fantasie eroiche che più tardi lo avrebbero reso immortale con Il Signore degli Anelli. Il suo mondo alternativo e perfettamente verosimile è qui già formato, a cominciare dall’oscuro Gollum, deus ex machina dell’intera vicenda, e dal mago Gandalf che, nonostante le numerose e non spiegate sparizioni e riapparizioni, mette in moto l’intera vicenda, spingendo il pacifico Bilbo Baggins a sfidare i pericoli mortali pur di impossessarsi del tesoro di un gruppo di nani custodito dal drago Smaug. Ciò che cambia, nella nuova traduzione, sono in parte il ritmo e lo stile, più vicini al modello anglosassone, ravvivando i colori dell’avventura, con lievi ma significative differenze: niente più “orchetti”, per cominciare, ma i minacciosi “orchi”; non più i tre “Uomini Neri” che si pietrificano alla luce del primo sole, ma i veri e antichi “Troll”; non più la città di Dale o “Valle” ma “Conca”; non più la spada “Pungiglione” ma “Pungolo”; “Rivendell” è la conosciutissima “Gran Burrone” e non più “Forraspaccata”; “Pontelagolungo” è diventata “la Città del Lago”; il drago “Smog” è “Smaug” come in originale; il cibo “rimpinzimonio” diventa “cram”; tra i nomi degli animali compaiono differenze perdute nella versione precedente, come i “corvi imperiali”, distinti dai semplici “corvi”, dove ogni razza contribuisce a caratterizzare la complessa cosmogonia di Tolkien. Nell’insieme, non una rivoluzione ma un adattamento, anche se i fedeli lettori di Tolkien potrebbero rivelarsi troppo affezionati ai vecchi nomi per accettare sostituzioni come quella di “Bosco Atro” con il nuovo “Boscotetro” (“Mirkwood” in originale), del soprannome di Bilbo “Cavaliere del Barile” con “Cavalcabarile” e “Archepietra” con “Arkengemma”. È interessante altresì notare, nel volume, la presenza delle due mappe dello stesso Tolkien (una all’inizio e una alla fine) col doppio colore rosso/nero così come nell’edizione originale con la particolarità che i nomi cambiati nel testo non sono stati corretti nelle mappe (con un po’ più di accortezza si sarebbe potuto ovviare a questa pecca). Per i neofiti, quelli che magari hanno scoperto l’esistenza di quest’opera solo adesso, mi sento in dovere di ricordare che, a differenza di quanto avvenuto al cinema, Lo Hobbit non è un prequel al Signore degli Anelli, perché non spiega a posteriori gli antecedenti dell’altra opera, ma è uscito dalla fantasia di Tolkien molto tempo prima che le vicende della Guerra dell'Anello venissero immaginate: anzi, proprio Il Signore degli Anelli fu concepito come il seguito de Lo Hobbit, e per molto tempo, nella corrispondenza che intercorreva tra Tolkien e l'editore, il libro in gestazione veniva chiamato “il nuovo Hobbit”. È una storia certamente nata come una fiaba per bambini, narrata con un tono colloquiale in cui il narratore si rivolge ai piccoli lettori invitandoli ad avventurarsi loro stessi nella storia, ma che nel corso degli anni si è progressivamente arricchita di altri particolari per essere riallineata alla storia della Terra di Mezzo e al contenuto del Signore degli Anelli. Per quanto mi riguarda, è sempre un’emozione risfogliare e rileggere i libri di Tolkien, perché ciò porta sempre una sensazione di familiarità e di novità al tempo stesso, magari proprio con questo spirito infantile e questa sua capacità di guardare la realtà con gli occhi di un bambino, pieni di stupore e di domande. Questa volta ho apprezzato particolarmente il personaggio di Beorn, il “mutatore di pelle” paradigma del guerriero nordico che entra nella trance bellica trasformandosi in un animale totemico, l’orso, ma talmente poetico da vivere a contatto con la natura e gli animali che tiene nella sua casa, con molte analogie con il Tom Bombadil del Signore degli Anelli, come lui creatura semidivina custode della natura e parte integrante del territorio che abita, con lo stesso ruolo fondamentale di rifugio e dispensatore di consigli nel cammino intrapreso dai protagonisti.

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