sabato 1 dicembre 2012

Neil Gaiman - Nessun dove

Inserito spesso tra autori più rappresentativi del cosiddetto gusto postmoderno, nel senso di una commistione audace e consapevole tra cultura “alta” e “di massa”, tra sublime e volgare, e tra registri, simboli e stili diversi all’interno della stessa opera, il geniale Neil Gaiman fornisce un’ulteriore prova della sua incredibile poliedricità di autore, narratore e sceneggiatore con questo Nessun dove, appartenente al filone dell’urban fantasy e basato sulla sceneggiatura dell’omonima serie televisiva (intitolata in originale Neverwhere) andata in ombra sulla BBC in sei puntate. Nell’introduzione lo stesso Gaiman spiega di aver voluto parlare di coloro che sono caduti in disgrazia e sono stati defraudati di tutto, trasfigurandoli attraverso lo specchio della fantasia: è così che egli si immagina un mondo sotterraneo, la Londra di Sotto, abitato da tutta quella categoria di persone che spesso sono chiamate come “invisibili” (e infatti del tutto invisibili alle persone di superficie) ma dove finiscono anche quegli abitanti della Londra di Sopra che cadono nelle pieghe e negli intervalli tra i due mondi. Per farlo racconta la storia del suo antieroe, Richard Mayhew, in tutto e per tutto l’uomo medio che all’inizio conduce una vita normale, vagamente stressata, con un lavoro e una fidanzata che cerca di portarlo ancora di più nella normalità: lui in realtà non è nemmeno nativo di Londra, ma ci si è trasferito per lavorare e il prologo del romanzo è proprio la sua festa d’addio, che si svolge nel pub di una cittadina qualsiasi. Il lato oscuro della città irrompe invece nella sua vita quando egli compie un gratuito atto di cavalleria, soccorrendo una ragazza. Questa, che si chiama Porta ed è in possesso della capacità di aprire qualunque porta o cancello, si rivela in realtà un’abitante della Londra di sotto ed è inseguita da due sicari (Mr Croup e Mr Vandemar) da quando è sfuggita a un complotto in cui le è morto il padre, un influente Lord di quel mondo che come estremo atto d’amore le ha lasciato un videomessaggio  con istruzioni cruciali per la sopravvivenza dell’unica figlia rimasta. Richard inizia così con lei un viaggio allucinante che è una sorta di iniziazione a questa vita sotterranea che si snoda lungo le fermate della metropolitana, che nella Londra di sotto assumono un significato letterale rispetto alla Londra di Sopra: Knightsbridge è pronunciato nightsbridge (ponte della notte) ed è avvolto da una misteriosa oscurità che esige un pedaggio; a Earl’s Court si entra davvero nella corte rinascimentale del Conte, situata in un vagone delle metropolitana con tanto di dignitari e buffone di turno; a Blackfriars ci sono davvero i Frati Neri e Richard deve superare una prova resistendo a subdole istigazioni al suicidio cui viene sottoposto dal suo doppio alla fermata della metropolitana. Anche se non mancano escursioni in superficie come a Embankment, sulla nave Belfast sul Tamigi e soprattutto da Harrod’s, in una memorabile riedizione cenciosa del mercato di Knightsbridge (il Mercato Fluttuante è un luogo di scambio a scadenza fissa in cui vige la tregua, figura centrale in Gaiman dal momento che si ritrova anche in Stardust). Nel loro viaggio Richard e Porta sono accompagnati da Hunter, la guardia del corpo cacciatrice che sogna di uccidere un giorno la Bestia di Londra (una leggenda metropolitana che, alla stregua del re alligatore delle fogne di New York e del grande orso di Berlino, da lei già affrontati e sconfitti, risulta vera come qualsiasi altra cosa nel mondo sotterraneo), dallo stralunato allevatore di uccelli Old Bayley (nome del tribunale di Londra), che vive sui tetti della città, e soprattutto dall’indimenticabile marchese De Carabas (che deve il suo nome al Gatto con gli stivali di Charles Perrault), raffinato, ambiguo e astuto, in grado di tenere in pugno gran parte del mondo sotterraneo con una rete di scambi di favori e ricatti, ma sempre benevolo e ironico nei confronti di Richard. È grazie al loro aiuto che i due giungono a scoprire che l’angelo Islington (per chi non se ne intendesse troppo di Londra, è bene specificare che nel sobborgo di Islington c’è appunto un quartiere chiamato Angel), presso il quale Porta sperava di trovare salvezza, si rivela il capo della cospirazione e che, in un drammatico e serrato confronto finale, precipita in un non-luogo illudendosi di ritornare in Paradiso. Quanto a Richard, colui che ha sconfitto la bestia e, di goffaggine in goffaggine, è divenuto l’eroe del mondo di sotto, grazie all’incredibile vittoria ottiene il cavalierato dalle mani del Conte e la possibilità di rientrare nella Londra di Sopra, ma riabituarsi alla routine quotidiana è impossibile e, dopo una breve parentesi, sceglie di tornare sotto terra, accolto e scortato dall’inappuntabile marchese De Carabas. Non ha imparato niente dall’esperienza della Londra di Sotto, se non la voglia di tornare a viverci e a emozionarsi nonostante abbia più volte rischiato la pelle, come capita a chiunque si innamori di una meravigliosa fiction. Con uno stile neutro, impermeabile e impassibile alle emozioni, che lascia accadere senza turbamenti fatti inspiegabili, associazioni imprevedibili, contrasti e sensazioni assurde, Gaiman ci conduce nei meandri di questo mondo oscuro ma poetico, capace di combinare e assemblare i pezzi della vita vera in un universo kitsch e postmoderno, che risulta veramente imperdibile per chi ama Londra o chi ci ha vissuto. Molti sono i riferimenti al mondo delle fiabe (Mr Croup e Mr Vandemar sono l’equivalente orrorifico del Gatto e la Volpe di Pinocchio, tanto che Richard quando li incontra avverte in loro un’aria feroce da volpe e da lupo, ma non bisogna dimenticare che quando Richard, parlando dell’angelo Islington, dice: «così lui racconterà a Porta della sua famiglia e dirà a me come tornare a casa», Lamia gli risponde scherzando: «E a te darà un cervello e a me un cuore», con ovvia allusione al Mago di Oz) e le citazioni abbondano, a partire dalle due guardie del British Museum che citano La maschera della Morte Rossa di Edgar Allan Poe, per arrivare al momento shakespeariano quando Richard cita il Macbeth con un «Allora, forza, Macduff» e poi tira i chiavistelli e oltrepassa una porta misteriosa senza sentire la chiosa colta dell’Abate dei Frati Neri: «Veramente è ‘in guardia, Macduff’. Ma non ho avuto il cuore di correggerlo. Sembra un così bravo giovane».

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